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Beccantini su 4° scudetto Napoli: "Grande conquista

Ottobre 1990, un quarantenne Roberto Beccantini ritratto nella redazione della “Gazzetta dello Sport” al fianco del grandissimo calciatore Pelé, ospite della “Rosea” a Milano per il match Brasile-Resto del Mondo 1-2: un’amichevole datata 31 ottobre e organizzata proprio dalla “Gazzetta” nell’ambito dei festeggiamenti per il 50° compleanno del fuoriclasse Verde-Oro, nato il 23 ottobre 1940 a Tres Coraçoes. (Foto: archivio personale Beccantini)

Roberto Beccantini, bolognese classe 1950, opinionista di “Corriere dello Sport” e “Guerin Sportivo”, nonché storico inviato a Mondiali, Europei e Olimpiadi per “La Gazzetta dello Sport” e “La Stampa” tra gli anni Ottanta e il 2010, già giurato del Pallone d’Oro e autore di testi sportivi (l’ultimo dei quali intitolato “Giocati da Dio”, editore Hoepli), analizza, in esclusiva per la nostra testata giornalistica, la nuova epopea del Napoli di Aurelio De Laurentiis. Non mancano, tra passato e presente, riflessioni profonde e memorie aneddotiche sul calcio nazionale e mondiale.

Maestro Beccantini, nel momento in cui i partenopei tornano campioni d’Italia nel calcio, a due anni di distanza dal trionfo del 2023, “La Gazzetta dello Sport” titola, nella sua prima pagina del 24 maggio 2025, “REGNO DI NAPOLI”. La situazione sta realmente in questi termini?

“Meglio ‘regno’ che ‘miracolo’, perché, quando si vincono 2 scudetti in 3 stagioni consecutive, parlare di miracolo non ha più senso.  Al limite, bisogna parlare di ‘impresa’, ‘progetto’, ‘programma’. Poi, se vogliamo fare ‘un po’ così…’ e ‘quelli che…’, si parli pure di regno. Su questo, nulla osta, soprattutto qui al Nord”.

Quali sono stati gli elementi cruciali che hanno determinato il 4° trionfo partenopeo?

“Innanzitutto, il ruolo del presidente De Laurentiis. Stavolta l’Aurelio, a differenza delle fatali incursioni registratesi nel precedente campionato, è riuscito a imprigionare i suoi sentimenti. Un’altra mossa significativa è stata quella di ingaggiare mr Antonio Conte, al quale ha affidato la responsabilità del progetto tecnico senza mai invadere l’ambito dell’allenatore. Una mossa che, conoscendo il carattere sanguigno del ‘boss’, immagino gli sia costata molta fatica”.

Quanto hanno inciso, in relazione all’ultima conquista degli azzurri, l’aspetto della ‘psicologia contiana’ e il ‘fattore tattico’ di mister Antonio?

 “Conte è un buon allenatore, sicuramente. E se non ha coppe europee tra i piedi, diventa un credibile domatore di belve; cioè, le sue squadre si trasformano, calcisticamente parlando, in branchi di lupi famelici. Lo ha dimostrato alla Juventus, al Chelsea e abbastanza anche all’Inter, perché, quando nel 2021, al suo secondo anno sulla panchina neroazzurra, conquistò il tricolore, a dicembre 2020 era già fuori dalle coppe europee. E tale elemento è stato fondamentale anche nel Napoli, perché la società e il gruppo-squadra hanno creduto nelle sue strategie e sono state create le condizioni affinché Antonio potesse forgiare un manipolo di opliti che, alla fine, dovendo risolvere ‘soltanto’ i problemi di un lungo campionato, è riuscito a battere una squadra come l’Inter che – va detto onestamente – fino all’ultimo è stata la vera antagonista dei partenopei. E poi ricordiamoci sempre che, affinché una conquista sia considerata grande, e quella del Napoli lo è stata, servono grandi avversari”.

Un manipolo di opliti che, sia pur orfano del talento di Kvaratskhelia dal gennaio 2025 in avanti, non ha battuto ciglio…

“In relazione alla vendita di Kvara al Paris Saint Germain, club laureatosi campione d’Europa dopo aver battuto in finale proprio l’Inter, debbo dire che, per una volta, il presidente De Laurentiis ha ascoltato noi giornalisti. Ha creduto fermamente nel concetto in base al quale, a determinati livelli, ‘l’allenatore è tutto’. E così ha lasciato andare via il georgiano, incassando 75 milioni di euro, e lo ha sostituito con Okafor, preso in prestito dal Milan”.

Premesso che il Napoli di mister Conte, con i suoi 27 gol subiti in 38 partite, oltre a essere stata la formazione con la miglior difesa nell’ambito dei 5 maggiori campionati europei 2024-25 (Premier League, Bundesliga, Liga spagnola, League 1 e Serie A), ha superato anche le due migliori prestazioni specifiche azzurre nella Serie A con 20 squadre (ventinove reti subite, annata 2017-18; ventotto gol presi, stagione 2022-23), a questo punto, sulla base della sua lunga esperienza da giornalista, se dovesse fare dei raffronti storici, in termini di solidità difensiva, tra la formazione neo campione d’Italia e altre squadre scudettate, quale riferimento sceglierebbe, ipotizzando che se ne possa fare almeno uno?

“I paragoni sono seducenti, ma questo è oggettivamente complicato. Nessun dubbio che, per tradizione, gli scudetti li vincano le difese più munite. Se però scendiamo nel dettaglio, e nei singoli, balza agli occhi il fatto che – sul piano individuale – l’assetto della scorsa stagione era tra i meno referenziati. Penso a Koulibaly (campionato 2017-18) e penso a Kim (stagione scudetto 2023). Stavolta è stato il lavoro di squadra a cementare il reparto: il lavoro sporco del centrocampo e delle ali. Dal portiere in su, in chiave difensiva, non c’è un’individualità che rivaleggi con i mitici Fortini d’antan: da Burgnich-Guarneri-Picchi a Costacurta-Baresi-Maldini, finendo con la Bbc juventina”.

Quali emozionanti finali di campionato le ha ricordato quello della lotta scudetto 2024-25?

“Mi vengono in mente i due sorpassi della Juventus ai danni dell’Inter: nel 1967 a Mantova, complice la paperissima di Sarti; nel 2002, quando mr Marcello Lippi vinse a Udine e mr Hector Cuper perse all’Olimpico, contro la Lazio. In entrambi i casi, era l’ultima giornata”.

Passato e presente. Nell’Era pre-De Laurentiis, l’Inter, fra le tre grandi del calcio italiano, era l’unica squadra contro la quale il Napoli, nemmeno negli anni di Maradona, era riuscito a invertire la tendenza di risultati sistematicamente amari. Il primo, vero, dispiacere glielo diede nella stagione della finale raggiunta nella Coppa Italia 1996-97, quando, da sfavorito, eliminò il Biscione in semifinale, ma perse il trofeo in finale contro il Vicenza. Premesso ciò, che effetto le fa il recente colpaccio del 4° scudetto, nel momento in cui lo mette in relazione con le sue memorie degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta?

“È la dimostrazione che volere è potere. I primi due scudetti sono riconducibili a un genio: Diego Armando Maradona. Gli altri due, alla società. E se in passato il vittimismo del ‘chiagni e fotti’ non ne avesse condizionato in maniera così viscerale azioni e reazioni, oggi il Napoli avrebbe all’attivo ben più di quattro titoli”.  

Cosa c’è nel futuro di questo Napoli?

“Penso che De Laurentiis abbia fatto tesoro del 10° posto del campionato 2023-24. Questo scudetto, il 2° in 3 anni (dalla grande bellezza di Luciano Spalletti alla grande efficacia di Antonio Conte), sicuramente lo aiuterà a crescere ulteriormente, tenendo anche i conti in ordine. E sono sicuro che non commetterà più errori clamorosi. E poi c’è Napoli, che, come scriveva Mario Sconcerti, è una delle poche città al mondo come densità e popolazione a identificarsi in una sola squadra di calcio. Questo può essere un vantaggio, ma, un po’ come l’amore, deve essere bilanciato, perché può creare un senso di soffocamento. E il fatto che De Laurentiis non sia simpatico proprio a tutti può essere un vantaggio a determinati livelli e in determinati rapporti”.

Bilanci e solidità economica: nel calcio italiano di Serie A, chi non ha i conti in ordine sembra avere gli stessi diritti di chi li tiene in maniera perfetta. Non è che, attraverso la materializzazione di un trend del genere, si sacrifica l’etica sportiva in favore dello “show business”, con buona pace degli operatori che puntualmente danno “a Cesare quello che è di Cesare”?

“Bilanci chiari e amicizia lunga. Concordo in pieno: chi sbaglia deve pagare”.

Calcio e tecnologia: dalla goal line tecnology del 2012 alle body-cam arbitrali del 2025, passando per il VAR del 2017 e il fuorigioco semiautomatico del 2022. In un’Italia in cui imperversano campanili, polemiche, dietrologie e deleteri complottismi, quanto ritiene utile l’uso della “macchina” nelle competizioni di foot-ball?

“Ormai non si può tornare indietro. Meglio ancora: non si ‘deve’ tornare indietro; fermo restando che la tecnologia dipende, comunque, dall’uomo. Per come la penso io, renderei più semplice il regolamento. Non puoi dare in mano a uno sceriffo (l’arbitro) un mitra (il VAR), se in certi vicoli l’interpretazione di determinati episodi lo tollera… e in altri no. Il VAR risolve i fuorigioco, per esempio, ma sui mani-comi e i cozzi fisici decide. Non è la stessa cosa; tanto che le moviole da bar, date per moribonde, sono tornate brillantemente alla carica. E imperversano”.

Secondo lei, dove si sta dirigendo il treno-calcio, zavorrato da un calendario stagionale comprendente per i club – mediamente – i campionati di Lega a 20 squadre, le coppe e le supercoppe nazionali ed europee, nonché, in relazione alle Nazionali, le qualificazioni ai Mondiali o agli Europei e i gironi biennali di Nations League, con annesse fasi finali dei 3 eventi?  

“Nel calendario calcistico attuale, ci hanno tolto il piacere del ‘Sabato del villaggio’, per parafrasare Giacomo Leopardi. Ora, invece, è tutta una bulimia di partite, perché ormai si gioca sempre. Speriamo solo che, di questo passo, il sistema non esploda. Lo stesso neonato Mondiale FIFA per Club, torneo al momento quadriennale, l’ho definito un evento ‘Getta e USA’, giocando con le parole”.

Mondiali e nazionale italiana: secondo lei, c’è un modo per uscire dal “buco nero” delle mancate qualificazioni nel quale ci siamo infilati nel 2017?

“Non rimane che lavorare sui piedi dei giocatori, dopo che per anni si è parlato delle teste, e dei testi, degli allenatori. La qual cosa non significa che il commissario tecnico non conti. Conta, ma può al massimo formare, non incidere in modo schiacciante. Cos’ha detto il CT della pallavolo Julio Velasco dopo il titolo mondiale 2025 delle sue ‘girls’? ‘La figura del Mister è importante, ma se ho dei cavalli da tiro posso migliorarli, sì, ma difficilmente arriverò a vincere qualcosa. Viceversa, se ho dei puledri, magari…’. E quindi, per prima cosa, liberare il giocatore, porlo davanti alle sue responsabilità, togliergli di dosso ogni genere di alibi. Che gli schemi non si trasformino in camicie di forza”.

Cosa conserverebbe e cosa eliminerebbe Roberto Beccantini in relazione al linguaggio del racconto calcistico dell’oggi?

“Evviva la passione, abbasso il fanatismo. Meno monologhi e più pause (riferito ai telecronisti). Dominare le statistiche e non diventarne schiavi. Non aver paura di usare i termini che ci hanno insegnato (terzino, mediano, eccetera). Al diavolo il ‘Covercianese’. Per dirla con Giorgio Armani, non bisogna farsi notare, ma farsi ricordare”.

Quali le motivazioni che l’hanno portata a scrivere, lo scorso anno, “Giocati da Dio – i gesti immortali del calcio”, libro, per certi aspetti, enciclopedico in relazione al foot ball?

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La copertina del libro “GIOCATI DA DIO”

“Il volume, edito da Hoepli, è rivolto ai ragazzi: quelli di una volta e quelli di adesso, fra oratori, strade e generazione-smartphone. La mia idea è quella che non si debba chiedere sempre allo Stato ‘allenatore’ quello che può dare a noi. Piuttosto, penso che in ambito calcistico tutti noi, da scugnizzi o da attempati, dobbiamo chiederci cosa possiamo dare allo Stato ‘allenatore’. Da qui, una serie di ritratti (circa 120, N.d.R) che descrivono grandi giocate di autentici campioni, proprio per dimostrare che, partendo da lontano, si può arrivare a riempire la fantasia di chi ci guarda e di chi ama questo sport, che, a mio avviso, nonostante tutto quello che di losco ci gira intorno, resta, per 90 minuti a settimana, il calcio di una volta, quello dell’oratorio e delle strade”.

Nel suo libro, facendo una sorta di viaggio tra varie tipologie di giocate, non ci sono classifiche, ma al centro del volume è impaginato, non a caso, il capitolo su Diego Armando Maradona, il più grande giocatore di tutti i tempi.

“Non ci sono classifiche sui gesti del calcio, ma sicuramente Maradona – che ho avuto il privilegio di seguire, come inviato Gazzetta, sia negli anni napoletani sia al Mondiale di Messico 1986 – per me, tra quelli visti dal vivo, è stato il più grande proprio per le emozioni che è riuscito a trasmetterci dal campo. Pelé, per esempio, in relazione ai suoi trionfi l’ho visto solo in televisione. E poi va detto che il fuoriclasse brasiliano aveva campionissimi con sé in Nazionale, vedi Garrincha, Didì, Vavà, Rivelino, Gerson, Jairzinho… Diego, invece, aveva al massimo degli ottimi giocatori al suo fianco, vedi Burruchaga e Valdano (autori di 2 dei 3 gol nella finale messicana contro la Germania Ovest) o Careca, Alemao, Ferrara e Carnevale (in relazione ai trionfi con i partenopei, N.d.R)”.

Ultima domanda: ha un aneddoto su Maradona?

“All’epoca, avendo un ottimo rapporto sia con lui sia con il commissario tecnico dell’Argentina, Carlos Bilardo, durante il percorso delle qualificazioni dell’Argentina verso il Mondiale 1986 ricordo che, una volta atterrato all’aeroporto di Ezeiza, mi recavo al loro quartier generale e lì era di una bellezza unica riuscire a intervistarli nella massima libertà, tenendo fuori dalla stanza procuratori e agenti vari che provavano a sbirciare. Una dinamica che, per come va oggi il calcio, non è facile da attuare. E poi ne ho un altro. Anche durante la fase finale in Messico, quando avevo bisogno di intervistare Diego, mi mettevo lì a bordo campo e, una volta che lui aveva concluso l’allenamento con la squadra e le successive (e spettacolari) esercitazioni balistiche personali, si concedeva tranquillamente alle mie domande. Anche questo, oggi, è uno scenario non facile da ipotizzare, se pensiamo alle stelle del calcio attuale”.
Luigi Gallucci

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(Fonte: Resto del Mondo-Brasile 1-2, report 31 ottobre 1990 >> https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/studioaperto/nel-1990-a-milano-una-partita-unica-per-i-50-anni-di-pele_F312328701006C10)

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