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Giornalista Cerruti: "Napoli, scudetti e organizzazione"

Alberto Cerruti, mezzo secolo da giornalista “Gazzetta dello Sport” (1974-2023)

Alberto Cerruti, commentatore a RSI (Rete Svizzera Italiana), storico giornalista della “Gazzetta dello Sport” e autore di testi calcistici (ultimo dei quali “Dal vostro inviato”), analizza il nuovo momento d’oro del calcio napoletano, dopo i fasti del settennato 1984-1991 “targato” Diego Armando Maradona, nell’ambito di un’intervista in esclusiva.

Maestro Cerruti, il 24 novembre 2024, nell’ambito di un forum sulla Serie A pubblicato sul web dalla testata giornalistica “Sportflash24”, predisse che il Napoli avrebbe vinto lo scudetto…

“Tengo a precisare che non fu una profezia, ma un’intuizione derivata da competenza ed esperienza maturate in tanti anni di giornalismo. Credo ai segnali nel calcio e al 24 novembre il Napoli ne aveva collezionati due alquanto particolari. Alla 3^ giornata aveva battuto al “Maradona” il Parma al termine di una partita molto complicata, in cui i Crociati erano andati in vantaggio con Bonny nel 1° tempo e avevano subito a un quarto d’ora dalla fine l’espulsione del portiere per doppia ammonizione, cosa non frequente nel calcio, prima che la continuità della spinta offensiva del Napoli portasse gli azzurri a segnare 2 gol nei minuti di recupero, il primo con Lukaku (esordio con rete pesantissima) e il secondo con Anguissa. Inoltre, il 10 novembre, al 29° del secondo tempo di Inter-Napoli, sul punteggio di 1-1 Calhanoglu, dopo 17 rigori trasformati in Serie A (numero scaramantico), al 18° tentativo colpiva il palo. A ciò si aggiunga il fatto che negli ultimi 5 anni mai una squadra aveva vinto lo scudetto per due stagioni consecutive. E poi c’era anche un altro, fondamentale, aspetto. Avevo sempre creduto nel valore dell’allenatore Conte, col ‘portafortuna’ Oriali. E sottolineo l’importanza di Gabriele. Lui ha vinto tutto: il Mondiale del 1982 al ‘Bernabeu’ (in finale contro la Germania Ovest) da giocatore; il Triplete 2010, da dirigente, con l’Inter di Mourinho (inclusa la Champions conquistata – sempre al ‘Bernabeu’ – in finale contro il Bayern Monaco), l’Europeo 2021 a ‘ Wembley’, stavolta come dirigente della Nazionale e con Mancini commissario tecnico. E ora, dopo lo scudetto del 2021 nello staff di Conte all’Inter, conquista, sempre insieme ad Antonio, il Tricolore col Napoli. E poi, in relazione a quel forum del 24 novembre, c’è un altro dato a cui feci riferimento: le difficoltà di mister Inzaghi. Simone non sa gestire le situazioni di superiorità in campo e, in generale, in campionato, perché quest’anno tutti, e dico tutti, tranne il sottoscritto e pochi altri, pensavano che l’Inter avrebbe vinto lo scudetto. E invece Inzaghi, un po’ come accadde 3 anni fa quando aveva 7 punti di vantaggio sul Milan, anche stavolta ha perso la contesa nell’ultima fase. Quindi, grande merito al Napoli, che ha saputo sfruttare le debolezze nei neroazzurri”.

Quale dei 4 scudetti è stato il più inaspettato e quale quello più sudato?

“Secondo me, l’ultimo è stato sia quello più inaspettato sia quello più sudato, tra i 4 della storia azzurra. Nel 1987, Il Napoli di Maradona ha vinto schierando in campo il più grande giocatore della Storia del calcio mondiale e una squadra assemblata, anno dopo anno, con calciatori ben preparati, reduci da un 3° posto e allenati da un tecnico esperto come Ottavio Bianchi. Albertino Bigon ha vinto sì al suo primo anno da mister del Napoli, al pari di Conte, ma ha potuto lavorare su un impianto già solido e proveniente da 1 vittoria in Coppa Uefa e da 2 secondi posti consecutivi in Serie A. Mr Spalletti, dopo un 3° posto al suo primo campionato nel Napoli, nel 2023 ha conquistato lo scudetto dell’organizzazione e della bellezza, dimostrando che in Parthenope si poteva non solo sfiorare…ma anche vincere qualcosa di molto importante nel calcio, pur senza avere in squadra il giocatore n° 1 al Mondo. Conte, invece, ha vinto contro pronostico, perdendo male a Verona alla 1^ giornata e perdendo da gennaio 2025 in avanti, per noti motivi di calciomercato, un giocatore estremamente importante per lui in questa squadra, e cioè il georgiano Kvaratskhelia”.  

Differenze e analogie fra il Tricolore vinto da Spalletti nel 2023 e quello conquistato quest’anno da Conte…

“Spalletti ha avuto a disposizione una squadra che ha preso subito il largo e quindi è stata una cavalcata quasi in discesa. Sulla linea del traguardo, il suo è stato un Tricolore annunciato, mentre quello di Conte è stato davvero uno scudetto sudato. Da un lato c’è stata una spettacolare cavalcata; dall’altro una sofferenza vincente, piacevole. E forse i tifosi partenopei stavolta hanno goduto di più.
L’analogia tra le due squadre risiede nella ricerca del bel gioco. Si tratta di due formazioni che non hanno mai speculato e che hanno saputo conquistare il pubblico, ricevendo, nel contempo, anche il consenso dagli avversari. Insomma, alla fine tutti hanno riconosciuto grandi meriti sia all’uno che all’altro. E questo è molto importante”.

Restiamo, per un attimo, sul ruolo del mister inteso in senso generale: al di là dei metodi di allenamento, che cambiano nel corso dei decenni anche in base alle evoluzioni scientifiche che supportano il calcio, quali sono le caratteristiche che ne fanno un vero vincente e non un gestore che vince?

“L’allenatore davvero bravo è quello che sa interpretare le posizioni e le attitudini dei giocatori. E poi, oltre a essere uno psicologo e uno studioso di calcio, deve avere umiltà. Non deve trasmettere la sensazione di essere lui il protagonista, perché sono i giocatori che devono sentirsi protagonisti. Secondo me, l’allenatore davvero in gamba è quello che non fa danni. Uno che non fa danni e ottiene il meglio è un grande”.

Premesso che il Napoli di mister Conte, con i suoi 27 gol subiti in 38 partite, oltre a essere stata la formazione con la miglior difesa nell’ambito dei 5 maggiori campionati europei 2024-25 (Premier League, Bundesliga, Liga spagnola, League 1 e Serie A), ha superato anche le due migliori prestazioni specifiche azzurre nella Serie A con 20 squadre (ventinove reti subite, annata 2017-18; ventotto gol presi, stagione 2022-23), a questo punto, sulla base della sua lunga esperienza da giornalista, se dovesse fare dei raffronti storici, in termini di solidità difensiva, tra la formazione neo campione d’Italia e altre squadre scudettate, quale riferimento sceglierebbe, ipotizzando che se ne possa fare almeno uno?

“Mi viene in mente il Milan di Fabio Capello del 1993-94, che ha vinto 2 titoli con una grandissima difesa: unico caso in cui un allenatore italiano è riuscito a conquistare nella stessa stagione lo scudetto (15 reti subite in 34 partite, N.d.R.) e la Uefa Champions League. Eppure, come forse alcuni appassionati ricorderanno, quel Milan schierava, come terminale d’attacco, un adattato Daniele Massaro, in quanto Van Basten si era dovuto ritirare. E giacché ci siamo, ricordiamo anche che il 18 maggio vinse la finale ad Atene 4-0, contro il Barcellona, senza i due centrali di difesa, dato che Franco Baresi e Costacurta, entrambi titolari, non scesero in campo, in quanto dovevano scontare delle squalifiche. Quella sera i 4 difensori furono Tassotti, Filippo Galli, Paolo Maldini e Panucci. E lì si vide, ancora una volta, la mano dell’allenatore, capace di organizzarsi – e anche bene – col materiale che gli restava a disposizione. Un’abilità simile l’ha avuta Conte nello scorso campionato, quando, soprattutto nel girone di ritorno, a causa di vari fattori ha dovuto porre rimedio a numerose assenze (in difesa, a centrocampo e in attacco) ed è riuscito ad adattare molto bene i cosiddetti sostituti dei titolari”. 

In questo campionato, nonostante il trionfo, ci sono state difficoltà di vario tipo per il Napoli. Secondo lei, ai fini dello storico risultato è stato maggiormente determinante il “Conte psicologo” o “l’uomo di lavagna e di campo”?

“È stata una competizione in cui ha trionfato Conte. E con questo dobbiamo intendere tutto in relazione ad Antonio, perché c’è l’esperienza del giocatore, che ha vinto scudetti e coppe con la Juve, e quella dell’allenatore, perché oggi, a parte Fabio Capello, lui è l’unico che ha conquistato scudetti con 3 squadre diverse (Juve, Inter e Napoli). Quindi, ci sono la sua competenza e la sua esperienza. Io, quando parlo di Antonio, per semplificare uso spesso una metafora. Lui è bravo come colui che, quando finisce il tubetto del dentifricio, riesce a tirare fuori ancora qualcosa. In pratica, è uno che ottiene non …il massimo, ma più del massimo. Inzaghi, invece, ottiene le cose normali. Quindi, a mio avviso la forza di Conte e i limiti di Simone hanno inciso molto nella determinazione di uno scudetto 2024-25 che, secondo me, ha un significato superiore a quello spallettiano 2022-23 proprio perché …era inatteso…e perché, tra gli addetti ai lavori, quasi nessuno ci credeva. E poi è la prima volta nella storia che il Napoli rivince il Tricolore a distanza soli due anni, cosa che non era riuscita nemmeno al grande Maradona, che lo aveva rivinto dopo 3 stagioni, non dopo 2”.         

Prima del Napoli, solo Juve, Inter, Milan, Torino e Bologna avevano vinto almeno 2 scudetti nell’arco di 3 campionati consecutivi di Serie A con girone unico. Come interpreta questo segnale nel contesto storico del foot ball italico?

“Questa è dimostrazione che la competenza e la serietà sono valori che fanno la differenza. Naturalmente, nel corso degli anni anche a Napoli si sono avvicendati tanti giocatori e allenatori, ma, se è vero che nel tempo si cambia molto, la competenza e l’organizzazione restano. Quindi, il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis ha fatto un po’ quello che era già riuscito a Silvio Berlusconi, il quale, intorno all’idea-base dell’organizzazione, ha costruito tanti successi con Milan”.

A proposito di presidenti vincenti, cosa rappresenta Aurelio De Laurentiis nel panorama del calcio nazionale e internazionale, dal 2004 a oggi?

“Certamente è un modello da seguire, perché ha preso una società che era fallita ed è riuscito a portarla a vincere due campionati in 3 anni, come nemmeno il suo omologo Corrado Ferlaino ai tempi di Maradona. E poi anche per un altro motivo. Nel corso degli anni si è circondato di ottimi collaboratori e ha mantenuto l’identità italiana del club, cosa non facile nel calcio di oggi”.

A quali traguardi può ambire realisticamente il Napoli, ipotizzando che sulla panchina resti Antonio Conte per i prossimi 3 anni?

“Io intravedo la possibilità di 3 scudetti consecutivi con Conte. Lui lo ha fatto già con la Juve e può rifarlo col Napoli. A livello delle coppe europee, invece, contano molto la storia, l’esperienza, la tradizione. E da questo punto di vista, fatta eccezione per la coppa Uefa (oggi Europa League) vinta nel 1989 con Diego in campo, il Napoli non è riuscito mai ad arrivare almeno in’ semi’ o in finale di Champions. Per tali motivi, vedo più un Napoli da scudetto che da coppa con le orecchie”.

Serie A: si parla spesso di cicli di formazioni storiche, mentre poco si analizza e molto si polemizza sui flop delle squadre scudettate. Da uno studio della nostra testata giornalistica online Sportflash24 emerge che, su 93 campionati a girone unico, per ben 61 volte (65% dei casi) la formazione campione d’Italia non ha confermato il titolo conquistato l’anno precedente. Come può essere interpretato questo dato?

“Con la presunzione, l’appagamento, col fatto che a volte il titolo va oltre i meriti. Talvolta lo scudetto è frutto di circostanze particolari. E quel determinato campionato rappresenta l’eccezione. Le grandissime squadre sono quelle che si ripetono negli anni. E sotto questo aspetto il Napoli, dopo il passaggio a vuoto dello scorso anno, oggi può davvero provare a costruire un ciclo importante”.

Lei poc’anzi, raffrontando le epoche scudettate del Napoli, ha citato Maradona, il più grande di tutti i tempi. Ci risulta che, in relazione al Pibe de Oro, Alberto Cerruti abbia un aneddoto legato in qualche modo al 5 luglio 1984…

“Dunque, quel giorno ero a Napoli, come inviato della Gazzetta, ad assistere alla presentazione di Diego Maradona nello stadio che oggi porta il suo nome e che all’epoca si chiamava San Paolo. In verità, ero arrivato in città, su ordine dell’allora direttore Candido Cannavò, il 30 giugno, perché quel giorno alle ore 20 si chiudevano le liste di trasferimento dei calciatori. Ventiquattr’ore prima, infatti, dopo una trattativa durata oltre un mese e mezzo, tra il Barcellona e il Napoli sembrava saltato tutto in relazione al possibile approdo del Pibe de Oro. E così fui mandato nel capoluogo partenopeo per raccontare la delusione della città. In quel contesto, nel pomeriggio del 30, verso le ore 16, intervistai l’ex parlamentare Vincenzo Scotti, all’epoca sindaco, il quale dichiarò che, nel caso in cui Maradona non fosse arrivato a Napoli, ‘sarebbe stata una sconfitta per la città’; anche se poi aggiunse che era sicuro ‘che Ferlaino avrebbe fatto comunque una squadra forte, indipendentemente dall’arrivo di Maradona’ e che ‘la delusione per un eventuale mancato arrivo di Diego sarebbe stata trasformata in un’energia positiva che avrebbe comunque portato a una crescita sportiva del club’. A quel punto, una volta rientrato in albergo all’hotel Royal, mentre stavo scrivendo l’articolo ricevetti una telefonata da un fidato amico argentino, il quale mi diede un aggiornamento cruciale. In sostanza, mi spiegò che, proprio mentre Juliano si stava recando all’aeroporto di Barcellona per far ritorno a Napoli, dovette tornare indietro, perché il Barcellona ci aveva ripensato e aveva deciso di accettare le condizioni di acquisto formulate dal club partenopeo. Alle ore 19 del 30 giugno ‘era tutto fatto’. Maradona era del Napoli. E così, dopo aver riscritto l’articolo per il giorno dopo, ricordo che a cena il cameriere mi chiese informazioni. E quando gli dissi che Diego era stato acquistato dal Napoli, lui inizialmente non ci credette. Poi, però, verso le ore 22, cominciarono a sfilare le auto che suonavano i clacson sul lungomare e tutti ebbero la conferma della notizia. Fu così che rimasi a Napoli quasi una settimana. Descrivemmo di una città molto eccitata e poi il 5 luglio ci fu la grande festa allo stadio”.

Le sensazioni di quei momenti?

“Beh, mi resi conto che stavo assistendo a qualcosa di incredibile, a un evento storico, che poi tale si è rivelato per il calcio”.

Maradona il numero 1 all time per precisione al tiro, capacità di invenzione palla al piede e per…cazzimma?

“Sicuramente il numero 1, perché ha vinto con compagni che non erano campioni, prima con la nazionale e poi con il Napoli, mentre Pelé ha vinto in un grande Brasile, che aveva fior di giocatori. Maradona resta unico al mondo, in quanto fino a oggi, tra i cosiddetti grandissimi del calcio, è stato quello che meno di tutti ha avuto bisogno della squadra per vincere Coppa del Mondo, Scudetto e altri trofei”.

Quanto ha spostato il settennato di Diego a Napoli in termini di peso specifico degli azzurri nella storia del calcio nazionale e internazionale?

“È stato determinante. In relazione a quella prima epopea azzurra si parlò sempre del ‘Napoli di Maradona’. Era come se la squadra fosse un tutt’uno con lui. Nel grande Milan, invece, c’erano più definizioni. Qualcuno lo etichettava come ‘il Milan di Sacchi’, qualche altro come ‘il Milan degli olandesi’ o ‘il Milan di Berlusconi’. Insomma, nell’immaginario collettivo c’erano tanti ‘Milan’, mentre nessun’altra squadra al Mondo è stata legata al nome del calciatore n° 1 in assoluto più di quel Napoli”.

Poiché lei è uomo di importanti memorie pallonare, a questo punto sorge spontanea una prima domanda. Restando sui “Dieci”, quelli di maglia e quelli di fatto, potrebbe darci una sua Top Ten all time?

“Nell’ordine: Maradona, Pelé, Zico, Cruijff, Di Stefano, Schiaffino, Platini, Rivera, Messi, Roberto Baggio”.  

Rimaniamo in tema di memorie. Quali sono stati, secondo lei, i 3 match più emozionanti della storia per capovolgimento nel punteggio e peso specifico della partita?

“Finale Champions Istanbul 2005, Milan-Liverpool dal 3-0 all’intervallo a 3-3 al 90°, con sconfitta dei rossoneri ai rigori; finale Euro 2000 Italia-Francia, con pareggio al 90° dei transalpini con Wiltord e Golden Gol di Trezeguet nei supplementari. E lì a Rotterdam ero presente. E poi la finale di Champions del 1999 al Camp Nou di Barcellona tra Manchester United e Bayern Monaco, con i Red Devils capaci di ribaltare il risultato da 0-1 a 2-1 nei minuti di recupero”.

Facciamo un gioco. Se Alberto Cerruti fosse un uomo di vertice nella “piramide dirigenziale” del calcio italiano, quali obiettivi si porrebbe nel breve e medio termine?

“Punterei innanzitutto su un maggiore impiego di giocatori italiani nei nostri campionati. In considerazione della libera circolazione della forza lavoro, naturalmente non si potrebbero vietare ai dirigenti delle nostre squadre acquisti di calciatori stranieri e comunitari, ma a quel punto bisognerebbe trovare un accordo con i club. E in tale ambito sarebbe importante se ogni squadra schierasse titolari, in ogni partita, almeno 5 o 6 nostri giocatori. Penso che incoraggiare e incentivare l’impiego di calciatori italiani sia necessario, altrimenti, andando avanti di questo passo, giocherà sempre il Mago Zurlì arrivato da chissà dove e, nel frattempo, l’Italia non avrà mai calciatori in grado di qualificarsi alla fase finale di un Mondiale. Ora, con tutto il rispetto che si deve a un ‘Pallone d’oro come Modric’, debbo fare un esempio calzante. In Milan-Cremonese, 1^ partita del campionato di Serie A 2025-26, tra i rossoneri, come uomo d’ordine di centrocampo, è stato schierato titolare il croato ex Real Madrid (classe 1985) e non Samuele Ricci, ventiquattrenne appena acquistato dal Torino. E quindi, se questo è lo specchio del campionato, mi chiedo dove possa arrivare l’Italia… Si tratta, naturalmente, di un caso limite, ma serve a far capire l’andazzo che da molto tempo c’è in Serie A. Ora, a parte questo, che ritengo il problema principale, punterei anche a creare, presso il centro federale di Coverciano, una scuola-allenatori con specializzazione in “commissari tecnici”. E i migliori che uscirebbero da quell’accademia li metterei ad allenare le Nazionali under 15, under 17, under 20 e under 21. Successivamente, quelli che otterrebbero buoni risultati nelle competizioni internazionali giovanili potrebbero essere idonei per entrare nello staff della nazionale maggiore. Purtroppo, con la recente e amara esperienza di Spalletti, si è confermato un concetto: un allenatore di club impiega troppo tempo a calarsi nelle dinamiche del commissario tecnico. E questo accade perché, a mio avviso, sono due ruoli affini ma diversi. Un’altra soluzione idonea, in termini di 1^ panchina azzurra, potrebbe essere quella di chiamare un allenatore a fine carriera e con un vastissimo bagaglio di esperienza, un po’ come è accaduto per Marcello Lippi”.

“Giochismo” e “risultatismo” le ritiene due definizioni calzanti o esagerate per inquadrare il calcio attuale?

“Sono due definizioni che non sopporto, ma, in generale, non sopporto le definizioni… Quando si parla di calcio, bisogna partire da un presupposto: nell’albo d’oro c’è il nome di chi vince, non quello di chi gioca bene. Il giocar bene è un’aggiunta, è come il dolce alla fine di un pranzo. Prima ci si sfama e poi si pensa al resto”.

Bilanci e solidità economica: nel calcio italiano di Serie A, chi non ha i conti in ordine sembra avere gli stessi diritti di chi li tiene in maniera perfetta. Non è che, attraverso la materializzazione di un trend del genere, si sacrifica l’etica sportiva in favore dello “show business”, con buona pace degli operatori che puntualmente danno “a Cesare quello che è di Cesare”?

“Sì, ma questo è un aspetto che persiste in Serie A da molto tempo, però non è detto che chi ha i conti in disordine vinca. Il Napoli, per esempio, è una dimostrazione del fatto che vince pure chi ha i conti in ordine. Insomma, bisogna vedere caso per caso. È giusto che ci siano controlli, però vanno stabiliti dei limiti temporali entro i quali risolvere questi problemi. Se non si pongono dei parametri bloccati, col passare del tempo diventa difficile arginare situazioni di un certo tipo”.

Calcio contemporaneo: a chi giova…e a cosa nuoce un calendario che in media porta ciascun giocatore a disputare 50-60 partite nell’arco di una stagione?

“Nuoce allo spettacolo e alla salute dei giocatori, ma fa gli interessi delle società, dei procuratori, dei calciatori stessi e delle federazioni”.

Calcio e tecnologia: dalla goal line tecnology del 2012 alle body-cam arbitrali del 2025, passando per il VAR del 2017 e il fuorigioco semiautomatico del 2022. In un’Italia in cui imperversano campanili, polemiche, dietrologie e deleteri complottismi, quanto ritiene utile l’uso della “macchina” nelle competizioni di foot-ball?

“Nel complesso, il VAR è utilizzato bene, ed è importante, perché certamente elimina molti errori arbitrali, ma, purtroppo, non tutti. E le dico di più. Chi pensa che attualmente il VAR sia la perfezione si sbaglia, in quanto, finché ci sarà l’uomo dietro la macchina, ci saranno sempre discussioni, pure perché non tutti gli arbitri (in considerazione del loro potere discrezionale, N.d.R) decidono in modo uguale su dinamiche di gioco molto simili tra una partita e l’altra. Reputo, invece, la Goal Line Tecnology un grandissimo passo in avanti, perché in questo modo sono stati eliminati tutti i casi dubbi sui palloni che possono aver varcato, del tutto o in parte, la linea di porta. Non bisogna esagerare, invece, con l’uso della tecnologia sul fuorigioco, perché, quando si annulla un gol, magari bellissimo, per pochi millimetri, non va bene. Io, per esempio, in relazione all’off-side, tornerei nuovamente al concetto di luce tra l’ultimo difensore, l’avversario che tira e il portiere”.

inviato

Copertina libro Alberto Cerruti “Dal vostro inviato”

Cosa, secondo Lei, va mantenuto e cosa va cambiato nel racconto sportivo di oggi?

“Va mantenuta la serietà nei giudizi, mentre vanno eliminate la superficialità e l’eccessivo di uso dei numeri, tipo quelli sul possesso palla. Questo dato è un inganno. È un po’ come la salsa sul pesce, quando il pesce non è fresco. Quindi, meno numeri e più sostanza”.

A proposito di racconto sportivo, ci risulta che per il suo ultimo libro, intitolato “Dal vostro inviato” ed edito la scorsa primavera da Ultra Sport con prefazione di Carlo Verdelli, sabato 30 agosto lei ha ricevuto in provincia di Parma il prestigioso premio “Compiano Sport” nell’ambito di un evento di alto livello all’insegna di calcio, ciclismo e letteratura sportiva.

“Quest’anno, il collega Beppe Conti e il comitato organizzatore hanno ritenuto di invitare e premiare due ex campioni del Mondo 1982, Giuseppe Bergomi (per il calcio) e Beppe Saronni (per il ciclismo), e due giornalisti sportivi già schierati in prima linea negli anni Settanta e Ottanta, come me e Franco Bonera, autore a sua volta del volume “Pezzi di colore”. Nell’ultimo lavoro che ho pubblicato, ci sono alcuni miei articoli che ho scritto nel corso degli anni per la Gazzetta e che ho voluto rispolverare per far capire com’è cambiato il calcio di oggi rispetto al foot ball di allora. Tra i temi trattati, non poteva mancare Diego Armando Maradona, perché io ho avuto la fortuna di essere il primo giornalista italiano a conoscerlo e a intervistarlo. E il capitolo s’intitola “Le profezie di Maradona”. Nel 1983, quando lui era un giocatore del Barcellona, nessuno poteva immaginare che venisse a giocare in Italia. In quel periodo, lui era a casa, ammalato di epatite virale, e non parlava con nessuno, ma, grazie al suo amico (e all’epoca capitano in Nazionale) Daniel Passarella, riuscii a fagli un’intervista telefonica. E tra le tante cose, a una mia domanda ‘Un giorno in quale squadra italiana ti piacerebbe giocare’ lui rispose ‘Il Napoli, perché c’è già il mio amico Ramon Diaz e perché il Napoli già mi aveva cercato con Gianni Di Marzio’. Quella pagina è stata un qualcosa di incredibile, perché lui è arrivato a Napoli un anno e mezzo dopo. Nessuno lo immaginava. E poi ricordo quella giornata indimenticabile del 5 luglio 1984, quando lui si presentò al San Paolo e disse ‘Buonasera napolitani’. Chiudo dicendo che nessuno, tranne lui, poteva battere un santo, dato che il “San Paolo”, nelle settimane successive alla morte di Diego, è stato intitolato Stadio Maradona”.

Dove si può reperire il suo libro?

“Per ordinarlo e riceverlo a casa in pochi giorni, ci si può collegare sul portale web Amazon e su altre piattaforme di editoria online. Bastano pochi click e l’operazione va in porto nella massima sicurezza. In alternativa,  lo si può richiedere in qualsiasi libreria classica”.
Luigi Gallucci

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