Cerruti Gazzetta

Un giovane Alberto Cerruti, primo da destra in una storica foto d’archivio Gazzetta dello Sport (Immagine: credits A. Cerruti)

Un’enciclopedia del calcio da sfogliare con cura, abbinata a una visione omnicomprensiva e profondamente realistica delle dinamiche pallonare di ieri e di oggi. Alberto Cerruti, classe 1952, quest’anno compie mezzo secolo di giornalismo sportivo in prima linea…e in gran parte tinto di Ros(e)a. E’ datata 1974, infatti, la sua lettera di assunzione alla Gazzetta dello Sport, quotidiano in cui ha riversato tutta la sua competenza, talvolta sacrificando anche momenti particolari di vita privata. Ricordi, naturalmente, tanti: dal calcio nazionale a quello internazionale.
In questa ampia intervista partiamo da un anniversario con cifra tonda: dov’era Alberto 40 anni fa, il 5 luglio 1984?

Ero a Napoli ad assistere alla presentazione di Diego Maradona nello stadio che oggi porta il suo nome e che all’epoca si chiamava San Paolo. In verità, ero arrivato in città, su ordine dell’allora direttore Candido Cannavò, il 30 giugno, perché quel giorno alle ore 20 si chiudevano le liste di trasferimento dei calciatori. Ventiquattr’ore prima, infatti, dopo una trattativa durata oltre un mese e mezzo, tra il Barcellona e il Napoli sembrava saltato tutto in relazione al possibile approdo del Pibe de Oro a Napoli. E così fui mandato nel capoluogo partenopeo per raccontare la delusione della città. In questo contesto, nel pomeriggio del 30, verso le ore 16, intervistai l’onorevole Vincenzo Scotti, all’epoca sindaco, il quale dichiarò che, nel caso in cui Maradona non fosse arrivato a Napoli, ‘sarebbe stata una sconfitta per la città’; anche se poi aggiunse che era sicuro ‘che Ferlaino avrebbe fatto comunque una squadra forte, indipendentemente dall’arrivo di Maradona’ e che ‘la delusione per un eventuale, mancato arrivo di Diego sarebbe stata trasformata in un’energia positiva che avrebbe comunque portato a una crescita sportiva del club’. A quel punto, una volta rientrato in albergo all’hotel Royal, mentre stavo scrivendo l’articolo ricevetti una telefonata da un fidato amico argentino, il quale mi diede un aggiornamento cruciale. In sostanza, mi spiegò che, proprio mentre Juliano si stava recando all’aeroporto di Barcellona per far ritorno a Napoli, dovette tornare indietro, perché il Barcellona aveva deciso di accettare le condizioni di acquisto formulate dal club partenopeo. Alle ore 19 del 30 giugno ‘era tutto fatto’. Maradona era del Napoli. E così, dopo aver riscritto l’articolo per il giorno dopo, ricordo che a cena il cameriere mi chiese informazioni. E, quando gli dissi che Diego era stato acquistato dal Napoli, lui inizialmente non ci credette. Poi, però, verso le ore 22, cominciarono a sfilare le auto che suonavano i clacson sul lungomare e tutti ebbero la conferma della notizia. Fu così che rimasi a Napoli quasi una settimana. Descrivemmo di una città molto eccitata e poi il 5 luglio ci fu la grande festa allo stadio”.

Le sensazioni di quei momenti?

“Beh, mi resi conto che stavo assistendo a qualcosa di incredibile, a un evento storico, che poi tale si è rivelato per il calcio”.

Maradona il numero 1 all time per precisione al tiro, capacità di invenzione palla al piede e per…cazzimma?

“Sicuramente il numero 1, perché ha vinto con compagni che non erano campioni, prima con la nazionale e poi con il Napoli, mentre Pelé ha vinto in un grande Brasile, che aveva fior di giocatori. Maradona resta unico al mondo, in quanto fino a oggi, tra i cosiddetti grandissimi del calcio, è stato quello che meno di tutti ha avuto bisogno della squadra per vincere Coppa del Mondo, Scudetto e altri trofei”.

Quanto ha spostato il settennato di Diego a Napoli in termini di peso specifico degli azzurri nella storia del calcio nazionale e internazionale?

“E’ stato determinante. E la prova la si è avuta quando il Napoli lo scorso anno ha vinto il suo 3° scudetto con mr Spalletti. L’ultimo è stato un tricolore frutto di un lavoro di squadra, mentre, in relazione a quell’epopea lì, si parlò del Napoli di Maradona. Era come se la squadra fosse un tutt’uno con lui. Nel grande Milan, invece, c’erano più definizioni. Qualcuno lo etichettava come ‘il Milan di Sacchi’, qualche altro come ‘il Milan degli olandesi’ o ‘il Milan di Berlusconi’. Insomma, nell’immaginario collettivo c’erano tanti ‘Milan’, mentre nessun’altra squadra al Mondo è stata legata al nome del calciatore n° 1 in assoluto più di quel Napoli di Maradona”.

Nell’ambito del football partenopeo c’è un prima e un dopo Giorgio Ascarelli, ma anche un prima e un dopo Maradona. Si possono definire, esse, insieme alla figura di Aurelio De Laurentiis, le 3 pietre miliari del calcio napoletano, con il rispetto che comunque si deve a personaggi carismatici quali Achille Lauro, Bruno Pesaola, Luis Vinicio, Antonio Juliano e Corrado Ferlaino?

“Sì, si possono definire tre simboli della storia del Calcio Napoli”.

Restando sui “Dieci”, quelli di maglia e quelli di fatto, coloro che, da fantasisti, più esaltano il cosiddetto “immaginario collettivo” dei calciofili, potrebbe darci una sua Top Ten all time?

“Nell’ordine: Maradona, Pelé, Zico, Cruijff, Di Stefano, Schiaffino, Platini, Rivera, Messi, Roberto Baggio”.  

Sempre a proposito di immaginario collettivo, quale la sua Top Ten per i “9” e gli “11” che hanno maggiormente segnato la storia del pallone?

“Giuseppe Meazza, Paolo Rossi, Silvio Piola, Gigi Riva, Gerd Muller, Marco van Basten, Pippo Inzaghi, Pierino Prati, José Altafini, Cristiano Ronaldo”.

Ruolo del mister: al di là dei metodi di allenamento, che cambiano nel corso dei decenni anche in base alle evoluzioni scientifiche che supportano il calcio, quali sono le caratteristiche che ne fanno un vero vincente e non un gestore che vince?

“L’allenatore bravo è quello che sa interpretare le posizioni e le attitudini dei giocatori. E poi deve essere uno psicologo, uno studioso e deve avere umiltà. Non deve essere lui il protagonista, perché i protagonisti devono essere i giocatori. L’allenatore bravo è quello che non fa danni. Uno che non fa danni e ottiene il meglio è un grande”.

Quali i 10 mister “veri vincenti” della storia del calcio, includendo Nazionali e squadre di club?

“Nereo Rocco, Nils Liedholm, Enzo Bearzot, Vicente del Bosque, Carlo Ancelotti, Pep Guardiola, Helenio Herrera, José Mourinho, Fabio Capello, Alex Ferguson”.  

Serie A: si parla spesso di cicli di formazioni storiche, mentre poco si analizza e molto si polemizza sui flop di squadre scudettate. Da uno studio della nostra testata giornalistica online Sportflash24 emerge che, su 92 campionati a girone unico, per ben 60 volte (65% dei casi) la formazione campione d’Italia non ha confermato il titolo conquistato l’anno precedente. Come può essere interpretato questo dato?

“Con la presunzione, l’appagamento, col fatto che molte volte il titolo va oltre i meriti. Talvolta lo scudetto è frutto di circostanze particolari e quel determinato campionato rappresenta l’eccezione. Le grandissime squadre son quelle che si ripetono negli anni”.

Maglia nera di questa specifica graduatoria storica, il diabolico Milan 1980, retrocesso in Serie B per scandalo scommesse clandestine. Seguono a ruota, per “fattori di campo”, Roma 1943, Juventus 1963, Hellas Verona 1986 e Milan 2007, tutte piazzate nella metà inferiore della classifica. In terza fascia, Milan 1958 e Napoli 2024, terminate entrambe all’ultimo posto della prima metà della graduatoria definitiva nelle rispettive stagioni. Ritiene di poter aggiungere altri flop degni di nota oltre quelli sovra-menzionati?

“Ci sono già tutti”. 

Mondiali ed Europei per Nazioni, coppe europee per club, derby e match di Serie A: quali i 3 incontri qualitativamente più elevati che ha visto?

“Italia-Brasile 3-2 nella Coppa del Mondo del 1982, la finale dei Mondiali 2022 Argentina-Francia 7-5 dopo i rigori (3-3 al termine dei Supplementari) e la finale della Coppa del Mondo 1974 Germania Ovest-Olanda 2-1”.

Quali i 3 più emozionanti per capovolgimento nel punteggio e peso specifico della partita?

“Finale Champions Istanbul 2005, Milan-Liverpool dal 3-0 all’intervallo a 3-3 al 90°, con sconfitta dei rossoneri ai rigori; finale Euro 2000 Italia-Francia, con pareggio al 90° dei transalpini con Wiltord e Golden Gol di Trezeguet nei supplementari. E lì a Rotterdam ero presente. E poi la finale di Champions del 1999 al Camp Nou di Barcellona tra Manchester United e Bayern Monaco, con i Red Devils capaci di ribaltare il risultato da 0-1 a 2-1 nei minuti di recupero”.

Quali i 3 più sorprendenti per il clamore e la pesantezza del verdetto determinato dal campo?

“In epoca di 2 punti a vittoria, ricordo almeno due finali di campionato molto particolari. In primis, la ‘fatal Verona’. Il 20 maggio 1973 il Milan, primo in classifica dopo 29 giornate con 44 punti, perse 3-5 al Bentegodi, mentre la Juve, distanziata di una sola lunghezza, batté all’Olimpico la Roma per 2-1 e vinse il suo 15° scudetto a quota 45. Altro risultato clamoroso fu quello del 20 aprile 1986. All’Olimpico, nella 29^ giornata, la Roma, prima in classifica a pari punti con la Juve a quota 41, perse 2-3 contro l’ormai retrocesso Lecce, mentre i bianconeri sconfissero in casa il Milan per 1-0. Lo shock dei giallorossi fu tale che 7 giorni dopo, nel 30° e ultimo turno, crollarono anche nella trasferta di Como, mentre la Juve, battendo il Lecce allo stadio di Via del Mare, vinse il suo 22° titolo in Serie A, ancora una volta con 45 punti.
Nell’epoca dei 3 punti, palpitante fu il 5 maggio 2002. Nella giornata conclusiva del campionato ero a Udine per seguire Udinese-Juve, finita 0-2. Quel successo decretò il sorpasso ‘all’ultima curva’ di Trezeguet e compagni ai danni dell’Inter, capolista provvisoria alla 33^ giornata a quota 69 ma battuta dalla Lazio 2-4 allo stadio Olimpico nell’ultimo match, dopo esser stata in vantaggio nel 1° tempo prima per 1-0 e poi per 2-1. Fatale, per i nerazzurri, fu il crollo nella seconda parte di gara. A seguito di quel ko, la squadra allenata da Hector Cuper fu scavalcata in graduatoria anche dalla Roma, vincente fuori casa contro il Torino. Classifica finale: Juve 71, campione d’Italia per la 26^ volta, Roma 2^ con 70, Inter 3^ con 69”.   

Alberto Cerruti (foto recente)

Il primo evento calcistico visto in tv?

“Mondiali 1966, in bianco e nero”.

La prima allo stadio?

“Milan-Padova 4-0 nel 1962”.

La prima in Serie A con il suo commento giornalistico?

“Napoli-Milan 1-1, ultima giornata del campionato 1977-78”.

Il suo primo Mondiale da inviato?

“Spagna 1982. Sono stato l’unico nella storia della Gazzetta dello Sport ad aver lavorato sul posto per 8 Mondiali consecutivi, dal 1982 al 2010”.

Quando ha pensato che da grande avrebbe voluto fare questo lavoro?

“A 16 anni”.

Ha avuto uno o più colleghi-modello a cui si è ispirato?

“Franco Mentana, papà di Enrico, è stato il mio modello”.

Cosa, secondo Lei, va mantenuto e cosa va cambiato nel racconto sportivo di oggi?

“Va mantenuta la serietà nei giudizi, mentre vanno eliminate la superficialità e l’eccessivo di uso dei numeri, tipo quelli sul possesso palla. Questo dato è un inganno. E’ un po’ come la salsa sul pesce, quando il pesce non è fresco. Quindi, meno numeri e più sostanza”.

Calcio contemporaneo: a chi giova…e a cosa nuoce un calendario che in media porta ciascun giocatore a disputare 50-60 partite nell’arco di una stagione?

“Nuoce allo spettacolo, alla salute dei giocatori, ma fa gli interessi delle società, in primo luogo, e poi anche dei procuratori, dei giocatori e delle federazioni”.

Arbitri e VAR: una volta introdotta, nel 2017, una massiccia dose di tecnologia nel calcio, in tantissimi speravano che questa disciplina sportiva avesse intrapreso finalmente la giusta strada nell’ottica di una gestione più omogenea delle regole IFAB. E invece, dopo 7 anni, osservando lo svolgimento di competizioni per Nazionali e per club, si notano ancora gravi e frequenti elementi di disomogeneità nelle decisioni su dinamiche di gioco spesso molto simili tra loro. A questo punto, la domanda nasce spontanea: non è che “il problema dei problemi” resta il potere discrezionale (e forse medioevale) affidato a ciascun direttore di gara?

“Fino a quando c’è l’uomo che decide, c’è sempre discussione. E non tutti gli arbitri decidono in modo uguale. Il VAR ha tolto molti errori, ma non tutti. Chi pensa che il VAR sia la perfezione si sbaglia. Non è così”.

Dal 2006 l’Italia manca da un tabellone di ottavi di finale di un Mondiale e in tale contesto, nel frattempo, ha inaugurato anche una orribile striscia costituita (per ora) da 2 mancate qualificazioni consecutive alla fase finale della Coppa del Mondo. Da chi e da cosa bisogna ripartire per ripulire dal troppo fango recente le insozzate 4 stelle presenti sulla maglia azzurra?

“Bisognerebbe limitare il numero degli stranieri in campo e far giocare maggiormente i giovani italiani, in attesa che nasca qualche campione”.

Dagli azzurri d’Italia agli azzurri di Parthenope. Mr Antonio Conte è l’uomo giusto, in zona Fuorigrotta, per ricostruire la “dimensione elevata”, sottotitolo del mio libro “Napoli Campo Centrale”, edito da Urbone nel 2023?

“Conte è l’uomo giusto se ha i giocatori giusti, perché per prima cosa non deve fare danni. Prima, però, deve avere calciatori idonei. Ricordo che Arrigo Sacchi, che nel Milan sembrava l’uomo giusto, nel 1997 è arrivato 11° perché in quella stagione non aveva i giocatori giusti”.

“Giochismo” e “risultatismo” le ritiene due definizioni calzanti o esagerate per inquadrare il calcio attuale?

“Sono due definizioni che non sopporto, ma le definizioni non le sopporto in generale… Quando si parla di calcio, bisogna partire da un presupposto: nell’albo d’oro c’è il nome di chi vince, non di chi gioca bene. Il giocar bene è un’aggiunta, è come il dolce alla fine di un pranzo. Prima ci si sfama e poi si pensa al resto”.   

Ultima domanda: situazioni aneddotiche vissute in 50 anni di carriera da Alberto Cerruti?

“Nel 1982 non ho partecipato al matrimonio di mia sorella, sposatasi il 10 luglio alla vigilia della finale Italia-Germania Ovest 3-1. Nei mesi precedenti, quando bisognava decidere la data delle nozze, indicai quel giorno lì, perché mai avrei immaginato che Paolo Rossi ci trascinasse verso un clamoroso trionfo. Un altro aneddoto è legato al 30 giugno 1984. Quel giorno si sposava mia cognata, sorella della mia prima moglie, e  nemmeno in quella circostanza ho partecipato perché sono rimasto a Napoli per raccontare dell’arrivo di Maradona. Nel 1996, invece, ero ai campionati Europei in Inghilterra e non ho potuto assistere al funerale di mia nonna Sandra, a cui ero molto legato. Poi c’è un aneddoto molto divertente. Quando, in una sera del 1983, nacque mio figlio Enrico, mia moglie era in clinica e io ero appena rientrato da lavoro. All’epoca, infatti, noi neo papà non avevamo i permessi che sono consentiti oggi. Ebbene, accadde che dopo pochi minuti squillò il telefono. Mi chiamò il direttore Candido Cannavò per dirmi che nel giorno seguente bisognava fare un’intervista a Zico. Io gli spiegai che dovevo andare in clinica a vedere mia moglie e il bambino e lui mi rispose testualmente: ‘Beh, mica devi allattare?’.  E così il giorno dopo dalla clinica telefonai a Zico e lo intervistai. Il fuoriclasse brasiliano sarebbe poi arrivato a giocare nei mesi successivi in Serie A con la maglia dell’Udinese. Tutto ciò per dire quanto il lavoro mi abbia assorbito, sottraendomi alcuni momenti importanti in relazione alla vita privata”.  

Luigi Gallucci

 

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