Un viaggio tra calcio di ieri e di oggi con Aldo Serena, 61enne opinionista sportivo e con un passato da protagonista in una Serie A che 35 anni fa era definita da tutti “il campionato più bello del Mondo”.

Aldo Serena: “Kvaratskhelia? Un romantico del calcio. Vialli?


CHI E’ ALDO SERENA /
Nato il 25 giugno del 1960 a Montebelluna e cresciuto calcisticamente nel club biancoceleste del Comune trevigiano, si trasferisce all’Inter a 18 anni ed esordisce in Serie A il 19 novembre 1978 nella gara Inter-Lazio 4-0. Seguono 2 di gavetta in Serie B con Como (1979-80 allenatore Pippo Marchioro) e Bari (1980-81 con mr Mimmo Renna). Proprio in Puglia, in Cadetteria, il bomber veneto si mette in luce a livelli professionistici segnando ben 10 reti. Richiamato all’Inter, sempre guidata da Eugenio Bersellini, colui che nel ’78 lo aveva fatto giocare per la prima volta al Meazza, nell’annata 1981-82 totalizza 21 convocazioni, sigla 2 reti e vince anche la Coppa Italia. Poi un altro anno in Serie B con il Milan guidato da Ilario Castagner (20 presenze, 8 gol e promozione in “A”) e ritorno all’Inter. Con l’allenatore Gigi Radice si trova benissimo e nella stagione 1983-84 totalizza 28 convocazioni in campionato, mettendo a segno 8 gol. L’annata successiva lo vede protagonista col Torino: secondo posto in Serie A, 29 convocazioni e 9 gol. Nel frattempo, con le sue reti nelle ‘stracittadine’ comincia anche a essere soprannominato l’uomo dei derby, oltreché attaccante con la valigia. Segue poi, sempre nel capoluogo piemontese, un biennio alla Juve (’85-‘86 allenatore Giovanni Trapattoni, ‘86-‘87 Rino Marchesi) che lo vede vincere, col Trap, uno scudetto e una coppa Intercontinentale, mentre con Marchesi deve accontentarsi del 2° posto nell’anno successivo. Nelle due stagioni in bianconero “Aldito” colleziona 51 presenze e 21 gol. Dall’annata 1987-88 a quella 1990-91 Serena vive con la maglia dell’Inter un altro esaltante periodo, sempre con Trapattoni allenatore: 114 gare e 45 gol complessivi, con titolo di campione d’Italia e capocannoniere della Serie A con 22 reti nella stagione agonistica 1988-89 e di campione in Coppa Uefa in quella 1990-91. Il bomber di Montebelluna chiude la carriera col Milan nel biennio luglio 1991 – maggio 1993 a guida Fabio Capello. Durante tale fase gli infortuni cominciano a pesare sul suo rendimento, ma non gli impediscono di conquistare 2 scudetti. Completano il suo Palmares i trofei Supercoppa italiana datati 1989 e 1992 e una medaglia di bronzo conquistata ai Mondiali di Italia ‘90 con la Nazionale allenata da Azeglio Vicini. Infine (ma non in ultimo per ordine di rilevanza), va evidenziato che in ambito istituzionale Aldo Serena il 30 settembre del 1991 riceve per meriti sportivi, al palazzo del Quirinale, il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana.

Partiamo subito con una domanda sui 10 mister che l’hanno allenata. Bersellini, Marchioro, Renna, Castagner, Radice, Bearzot, Trapattoni, Marchesi, Vicini, Capello: c’è un tratto che, secondo lei, li ha accomunati?

“Avevano approcci con sfumature tutte diverse gli uni dagli altri”.

Chi, tra questi, le ha lasciato una traccia particolare?

“Beh, quelli che avevano grande fiducia in me, al punto tale da volermi portare con loro nelle squadre che sarebbero andati ad allenare successivamente. Penso a Gigi Radice, con cui sono stato all’Inter nella stagione ’83-‘84 e al Torino in quella ‘84-’85, ma anche a Giovanni Trapattoni. Dopo aver lavorato con lui nella Juve campione Intercontinentale nell’ annata ‘85-‘86, nell’estate ‘87 mi ha chiamato all’Inter, il club con cui nell’89 ho vinto lo scudetto e la classifica cannonieri.
E poi c’è stato il commissario tecnico Bearzot, con cui ho vissuto l’esperienza del torneo olimpico di Los Angeles 1984 e la convocazione per il Mondiale di Messico 1986. Enzo era un uomo d’altri tempi. Lui, prima di scegliere un giocatore in Nazionale, analizzava non solo gli aspetti tecnici, ma anche quelli umani: rispetto nei confronti degli altri componenti del gruppo e predisposizione ad essere sempre al servizio della squadra. All’epoca, per entrare in azzurro, non bastava una stagione ad alto livello o fare una sequenza di gol cosiddetti pesanti. Ci volevano anche requisiti caratteriali di un determinato spessore”.

Quella olimpica del 1984 era una Nazionale con giocatori molto bravi, ma fu eliminata dal Brasile in semifinale e chiuse al 4° posto…

“I Verdeoro vinsero quella partita, ma non ci misero sotto. Avevamo una bella formazione. Giocavamo compatti in difesa per poi proiettarci in contropiede, solo che avevamo qualche calciatore fuori ruolo. Franco Baresi, ad esempio, dovette adattarsi a giocare davanti alla difesa, mentre il libero lo faceva Tricella”.

E poi, dopo la delusione di Messico 1986, con l’uscita agli Ottavi contro la Francia, ci fu una squadra che perse una sola partita…ai rigori, chiudendo comunque il torneo con un onorevole 3° posto.

“Quella nostra Italia del 1990 probabilmente poteva fare di meglio. Tutte le gare giocate all’Olimpico, tra girone eliminatorio, Ottavi e quarti di finale, le vincemmo. Tenevamo bene in difesa e poi riuscivamo anche a sbloccarla in attacco. Purtroppo nella semifinale contro l’Argentina, disputata a Napoli, non riuscimmo ad esprimerci come volevamo. Non eravamo fluidi nel gioco. Dopo esser andati in vantaggio con Schillaci, pensammo che era fatta…ma prendemmo il gol di Caniggia… E poi ai rigori sbagliammo io e Donadoni. E così ci toccò giocare la finale per il 3° posto”.

Sul gol del pareggio dell’Argentina ci fu un errore inusuale del portierone Walter Zenga…

“Lui uscì dai pali, ma nel movimento non riuscì a sincronizzarsi con il difensore Riccardo Ferri. Sono errori che possono capitare”.

Nonostante tutto, riusciste a portare a casa comunque un bronzo, strappandolo ai Maestri inglesi…

“Il presidente Matarrese ci caricò tantissimo prima di quella partita. Ci disse che il 3° posto era molto importante e poi in campo ritrovammo la fluidità del nostro gioco, riuscendo così a salire sul podio”.

 Lei a quei Mondiali visse un 30° compleanno particolare…

“Posso dire che quel 25 giugno fu il compleanno più bello vissuto da calciatore. Quella sera affrontavamo l’Uruguay negli ottavi di finale e io feci un assist a Schillaci nell’azione della prima rete che sbloccò il risultato in nostro favore e poi, sugli sviluppi di un calcio di punizione, segnai di testa il gol del definitivo 2-0”.

L’azione della prima rete di quell’incontro ancora oggi colpisce l’occhio…

“Ci fu un rinvio lungo del portiere Zenga, su cui Roberto Baggio riuscì a fare un controllo molto difficile nella trequarti avversaria e passò immediatamente la palla a me. Io, a mia volta, con un assist rasoterra in tunnel servii Schillaci. E poi Totò… ci mise del suo, perché da fuori area fece partire una traiettoria davvero diabolica: la palla prima si alzò e poi ricadde all’ultimo momento in direzione della porta. Si può dire che andammo in gol con qualità e con 3 passaggi. Ora c’è questa moda di costruire dal basso, ma in realtà le reti di un certo livello si possono fare anche senza questa serie infinita di passaggi che vediamo da un po’ di anni”.

Restiamo su Italia ’90. In azzurro c’era anche il suo compagno di reparto Vialli. Che ricordo ha di Gianluca, volato in cielo qualche giorno fa?

“Abbiamo iniziato a frequentarci già nel periodo delle convocazioni che precedettero il Mondiale ’86. Capii subito che aveva qualità non comuni. Aveva un desiderio di vivere la vita da protagonista. Voleva esserne attore, non spettatore. E poi aveva un carattere entusiasta e trascinava anche gli altri con la sua allegria. In questo contesto s’inserisce anche la lettera scherzosa che fece all’amico Ciro Ferrara per il 28° compleanno di quest’ultimo, nella quale lo prendeva abbastanza in giro… però, va detto che ha sempre mantenuto questo desiderio di divertirsi, anche quando, successivamente, ha vinto scudetti e coppe prima con la Samp e poi con la Juventus”.

Dal Mondiale di Italia 90 passiamo a quello di Qatar 2022: il responso è stato giusto, secondo lei?

“La Germania mi ha deluso, perché pensavo arrivasse almeno in semifinale. Idem il Brasile, partito forte e poi arenatosi. Secondo me la più forte era la Francia. Anche nella finale, persa contro l’Argentina, i suoi cambi erano di un livello superiore a quelli dell’Albiceleste. Purtroppo, però, il suo gioco non ha entusiasmato. Nel complesso, comunque, l’Argentina ha meritato. Ha avuto un Messi che si è espresso ad alto livello e che, a differenza di Cristiano Ronaldo, ha giocato non solo per far gol, ma anche per la squadra, trovando sempre posizioni intelligenti in campo e fornendo assist di qualità ai compagni. Lui e Di Maria hanno fatto la differenza, secondo me, anche se va detto che intorno avevano una squadra che lottava su ogni pallone, in pieno stile sudamericano”.

Lei a chi assegnerebbe il prossimo pallone d’oro: a Messi, il trionfatore in Qatar, o al francese Mbappé, il capocannoniere dell’ultima edizione della Coppa del Mondo ?

“Mbappé attualmente è superiore a Messi, perché è quello che ha il cambio di passo che maggiormente incide in una partita, ma, se consideriamo che, grazie al trionfo in Champions col Borussia Dortmund, questo trofeo nel 1996 lo ha vinto anche …Sammer, io lo assegnerei a Messi, perché, nonostante sia nella parabola discendente della carriera, è riuscito a raggiungere l’ultimo successo che gli mancava”.

Cosa succede all’Italia? La nostra generazione non era affatto abituata a vedere due Coppe del Mondo consecutive senza gli azzurri…

“Ci siamo un po’ persi. E i motivi sono di varia natura. Innanzitutto c’è un problema nel campionato di Serie A. Gli altri tornei europei (Premier League, Liga, BundesLiga, ndr) sono di una qualità più elevata rispetto al nostro. E poi c’è anche un aspetto che riguarda la disgregazione dei ragazzi in relazione al ‘fare calcio’. Io ricordo che, per intere generazioni, almeno il 60% dei giovani giocava a pallone. Oggi, invece, un po’ si dedicano ad altre discipline…e un po’ manca proprio la cultura del sacrificio per migliorarsi. Gran parte dei ragazzi non ha come obiettivo quello di impegnarsi ogni giorno per cercare costruirsi una vita di una qualità superiore. Questa cosa, invece, tempo fa rappresentava la molla per tanti di noi. Inoltre, va detto che, grazie alla politica dello Ius Soli, Nazionali come la Francia e la Germania hanno fatto un salto in avanti, mentre noi siamo rimasti indietro nel creare le condizioni per far crescere calciatori residenti in Italia ma con origini straniere”.    

Rimaniamo in tema di calcio internazionale. I tre giocatori che l’hanno impressionata di più ?

“Facendo riferimento alla mia generazione, posso dire che, in ordine cronologico di ‘apparizione sul palcoscenico’ mondiale, ne potrei mettere 4 a pari merito: Johan Cruijff, Michel Platinì, Diego Maradona e Marco Van Basten”.

A proposito di Diego Maradona… il 3 novembre 1985 in Serie A si giocò, alla 9^ giornata, Napoli-Juve al San Paolo. Decise la sfida una rete stratosferica del Pibe de Oro, il quale col suo gol interruppe, di fatto, una serie di 8 successi consecutivi degli uomini di Trapattoni. Lei quel giorno era in campo. Cosa ricorda?

“Noi in quella stagione ’85-’86 abbiamo dato il meglio tra settembre e dicembre, vincendo la prima delle due Coppe Intercontinentali della Juve, e successivamente lo scudetto. Era un periodo in cui eravamo davvero i più forti. Quella gara, però, si era caricata di un’atmosfera particolare. Alla vigilia il nostro portiere Stefano Tacconi aveva fatto qualche dichiarazione un po’ “osé”, un po’ “spavalda”, mentre Diego sapeva che per lui era una di quelle partite che potevano entrare nella storia. E così fu. Già prima del gol, nonostante le difficilissime condizioni del terreno di gioco, riuscì a fare delle straordinarie giocate in dribbling. Non riuscivamo a fermarlo nemmeno con i falli. Poi nel 2° tempo arrivò il momento della punizione a due in area di rigore. Noi mettemmo una mini barriera con Scirea e Cabrini davanti, mentre leggermente dietro c’eravamo io e altri 3. Io provai anche a saltare, ma non ero proprio nella direzione della sfera. In ogni caso Diego, nonostante un campo pesantissimo e un pallone estremamente difficile da indirizzare con l’effetto, riuscì a disegnare una parabola che si è rivelata un qualcosa di unico, di irripetibile”.    

Il 13 gennaio 2023 al “Maradona-ex stadio San Paolo” big match della 18^ giornata di Serie A tra il Napoli, capolista con 44 punti, e la Juve, seconda alla pari col Milan a quota 37 e reduce (anche stavolta) da 8 vittorie di fila…

“Allegri ha trovato la dimensione perfetta sotto il profilo difensivo, anche se in qualche circostanza è stato un tantino fortunato, ma il Napoli ha tutte le caratteristiche per far bene. E’ una squadra cangiante. Può alternare fasi di pressing alto, ma anche tirare un po’ il fiato, abbassandosi e ripartendo in contropiede con la fantasia degli esterni e con la velocità di Osimhen punta centrale”.

A proposito di fantasisti, cosa può rappresentare Kvaratskhelia nella storia della Serie A?

“Deve confermare ciò che ha fatto vedere nella prima parte di questo campionato. Del resto, le caratteristiche sono da giocatore d’altri tempi. Oggi, in genere, i calciatori vengono un po’ ingabbiati dagli schemi, mentre lui è in grado di fare dribbling a 120° col pallone attaccato al piede e ha una capacità di uscire a testa bassa tra 3 avversari… Insomma, nel calcio di oggi Kvara è una pennellata di romanticismo”.

Secondo lei sarà una sfida decisiva per il destino del campionato?

“Se il Napoli dovesse vincere, darebbe un segnale forte, ma secondo me la fase cruciale del campionato sarà quella di febbraio, quando gli azzurri avranno gli impegni di Champions e i bianconeri giocheranno una Europa League che, in caso di successo, potrebbe rivelarsi quel trofeo in grado di salvare una stagione… In quelle settimane la fatica per le squadre di vertice comincerà a sommarsi e potrà creare qualche difficoltà a tutte quelle impegnate sia in Italia che in Europa”.

Abbiamo iniziato l’intervista con una domanda sugli allenatori. La concludiamo con una sui presidenti. Lei ne ha avuti parecchi. Ci può dire qualcosa in merito?

“Ce ne sono 3 che mi hanno lasciato dei ricordi particolarmente significativi. Giampiero Boniperti è stato il classico presidente ‘di campo’. Ho avuto un bellissimo rapporto con lui nel biennio alla Juventus, perché, da ex attaccante, sapeva capire le difficoltà e dare quella ‘girata’ che magari serviva quando le cose non andavano bene.
Ernesto Pellegrini è stato un generoso. Ci ha dato grandi soddisfazioni perché, per arrivare a vincere scudetto e Coppa Uefa nel periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, ha speso tanto, comprando giocatori di grandissimo livello.
E poi c’è Silvio Berlusconi, che ho avuto nel mio ultimo periodo della carriera. Lui è stato un grande perché ha avuto intuizioni importanti sotto vari punti di vista. A livello tecnico, ad esempio, nella stagione 1991-92 ha inaugurato nel calcio europeo l’era delle cosiddette rose lunghe con 21-22 calciatori. Ha capito prima degli altri che l’intensità degli impegni agonistici, relativi a campionato e coppe, necessitava, in ogni ambito del campo, di sostituti all’altezza dei cosiddetti titolari. Nel contempo, però, ha curato molto anche altri aspetti, anch’essi strettamente legati al rendimento della squadra. Pensi che all’epoca mandò per un periodo di tempo il responsabile medico Rodolfo Tavana negli Stati Uniti affinché potesse capire il metodo di preparazione della squadra di basket Chicago Bulls, che a inizio anni Novanta dominava nel campionato più importante del mondo, la NBA.
A margine, però, mi piace ricordare anche Giussi Farina, con cui abbiamo vinto un campionato di Serie B nel 1983, riportando il Milan in “A”. Beh, una persona brava e simpaticissima, solo che in quel periodo, in era pre-Berlusconi, passando da presidente del Vicenza a proprietario del Milan, forse fece il passo un po’ più lungo della gamba”.

Luigi Gallucci 

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Note sulla foto

Milano, stadio Giuseppe Meazza, 17 settembre 1989. Nel prepartita del derby d’Italia tra Inter e Juventus (2-1) valevole per la 5ª giornata del campionato italiano di Serie A 1989-1990, l’attaccante interista Aldo Serena viene insignito del Premio ERG Sportsman dell’anno quale migliore marcatore dell’edizione 1988-1989.

Fotografia di pubblico dominio. Autore sconosciuto.

Fonti: storiainter.com e wikipedia.org

Per visualizzare la licenza d’uso del file immagine jpg da noi utilizzato in questo articolo, clicca sul seguente link >> https://it.wikipedia.org/wiki/File:Aldo_Serena_-_ERG_Sportsman_dell%27Anno_1988-1989.jpg

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