Tribuna Stampa Sportflash 24,

l’epopea del Napoli di De Laurentiis analizzata

da Fabrizio Failla, redattore capo Rai Sport /

Fabrizio Failla, redattore capo Rai Sport

LA SCHEDA /

Fabrizio Failla, 64 anni, nativo di Firenze e campano d’adozione (infanzia e adolescenza vissute a Nocera Inferiore), è redattore capo di Rai Sport. Dopo circa 15 anni di gavetta giornalistica (esperienze con “Radio Nocera Amica”, “Radio Erta”, “Telecolore” Salerno, quotidiani “Il Tempo”, “Unione Sarda” e rivista “Superbasket”) e una laurea conseguita in Giurisprudenza, diventa giornalista professionista con il quotidiano “Il Mattino” nel 1989 e poi, pochi mesi dopo, passa  nell’azienda televisiva di Stato. Fino a oggi, in circa 35 anni di carriera, ha ricoperto vari ruoli nell’ambito della redazione sportiva: da cronista sui campi di Serie A per la storica trasmissione “Novantesimo Minuto” ai numerosi servizi come inviato a seguito della Nazionale, tra ritiri a Coverciano, partite di qualificazione ai Mondiali e agli Europei e fasi finali “Uefa Euro” e “Fifa World Cup”, comprese “amarezza Rotterdam 2000″ e “trionfo Berlino 2006″, nonché il ruolo di telecronista in ben 8 olimpiadi, tra Giochi estivi e invernali organizzati negli ultimi 3 decenni. Da appassionati di sport, ricordiamo anche le sue numerose presenze nello studio de “La Domenica Sportiva” (nel 2002, insieme a Massimo Caputi e Giacomo Bulgarelli) e una telecronaca di pallanuoto su una epica e amara finale di Coppa dei Campioni LEN 1991 tra “Canottieri Napoli” e “Mladnost Zagabria” alla piscina Scandone di Fuorigrotta. Nota di curiosità: cultore di calcio sin da ragazzino, Failla, poco più che ventenne, partecipa con ottima predisposizione alla trasmissione tematica sportiva RAI “Il Sistemone”, imponendosi in 4 puntate e laureandosi campione della stagione 1984. Insomma, quando si dice il “buongiorno si vede dal mattino”.

L’INTERVISTA /

Dottor Failla, cosa sta rappresentando il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, dal 2004 a oggi, nel calcio italiano e internazionale?

“Una mosca bianca. Non sempre con un atteggiamento caratteriale condivisibile, però di sicuro un vincente. E questa è merce rara”.

Prima del Napoli, solo Juve, Inter, Milan, Torino e Bologna avevano vinto almeno 2 scudetti nell’arco di 3 campionati consecutivi di Serie A con girone unico. Come interpreta questo segnale nel contesto storico del foot ball italico?

“Per alcuni club (Torino e Bologna), ci riferiamo agli albori della Serie A. Per Juve, Inter e Milan si tratta di club tradizionali. Il nome del Napoli, invece, sta uscendo dall’alveo della sorpresa per diventare consuetudine”.

Da uno studio della nostra testata giornalistica online Sportflash24 emerge che, su 93 campionati a girone unico, per ben 61 volte (65% dei casi) la formazione campione d’Italia non ha confermato il titolo conquistato l’anno precedente. Come può essere interpretato questo dato?

“Ci sono vari aspetti, alcuni dei quali interconnessi. La prima spiegazione riguarda il fatto che spesso chi vince si rilassa e pensa soprattutto alla Champions League. Nel frattempo, però, succede che chi ha appena perso schiuma di rabbia e si mette a lavorare duramente per strutturare nuovamente una squadra vincente”.

Quali gli elementi chiave che hanno consentito al Napoli di trionfare nel campionato 2024-25?

“Il 4° scudetto del Napoli parte da lontano, da una intelligente e coraggiosa campagna acquisti, che è stata fondata su giocatori non conosciuti come Philipp Billing, arrivato in prestito a gennaio scorso dal Bournemouth e autore il 1° marzo, allo stadio Maradona, della cruciale rete del pareggio nello scontro diretto contro l’antagonista Inter; su giocatori che molti addetti ai lavori ritenevano finiti, come Romelu Lukaku, 5° in classifica cannonieri con 14 reti e miglior assist-man di questo campionato con 10 passaggi-gol, un calciatore che, prima di arrivare a Napoli, era stato scaricato da più squadre che lo avevano avuto in prestito dal Chelsea e che, nella stagione appena trascorsa, aveva il gravoso compito di sostituire Osimhen nel ruolo di prima punta; e soprattutto su Scott McTominay, un centrocampista scozzese che non sembrava pronto per  una platea così importante come quello della Serie A e che nel Manchester United aveva qualche difficoltà a imporsi. E in tutto ciò non dimentichiamo Jack Raspadori. Lui era sul punto di essere ceduto, ma, dopo il gol-vittoria del 29 dicembre scorso contro il Venezia nell’ultimo quarto d’ora di partita, è diventato un punto fermo. E poi va anche evidenziato che, grazie a un buon impianto di squadra, la partenza di Kvaratskhelia non ha fatto grandi danni. Tra i fattori-chiave, anche la grande capacità di reagire a un mese di febbraio pessimo, senza vittorie: sconfitta in trasferta contro il Como, pareggio interno contro l’Udinese e altri due pari all’Olimpico, contro Roma e Lazio; gare, queste ultime, in cui a 5 minuti dal Novantesimo era in vantaggio e nelle quali ha subito il recupero dell’avversario di turno durante gli ultimi giri di orologio. Ebbene, dopo una tale sequenza di risultati, laddove altre squadre si sarebbero smarrite, il Napoli di mr Antonio Conte ha dimostrato di essere un gruppo solido. E poi un altro elemento importante è stata la capacità difensiva, un vero fiore all’occhiello. Prendere pochi gol è più importante che segnarne tanti. E ancora, il feeling con il pubblico. Se pensiamo che oltre 1 milione di spettatori ha assistito allo stadio alle gare del Napoli, vengono i brividi. Una cifra infinita, un record difficilmente ipotizzabile alla vigilia della stagione. E poi mi piace evidenziare la pacatezza di Aurelio De Laurentiis. Anche nei momenti difficili, il presidente, nonostante la sua indole vulcanica, non ha ecceduto nelle sue esternazioni. E anche tale aspetto, a mio avviso, ha fatto sì che il Napoli potesse arrivare così in alto. E infine permettetemi di dire: «Conte, chapeau»”. 

Premesso che il Napoli ha concluso l’ultimo campionato con la migliore fase difensiva della propria storia, se mettiamo sul piatto della bilancia il risultato finale e la media dei gol subiti (la più “ermetica” anche tenendo conto dei 5 maggiori campionati nazionali 2024-25 disputati in Europa), lei affiancherebbe tale fase di non possesso palla a qualche altra che, nel corso dei decenni, si è fregiata dello scudetto?  

“Il quartetto difensivo resta il vero segreto dello scudetto, perché in attacco il gol, in un modo o in un altro, lo si può sempre fare. Quindi la fase difensiva resta il valore che fa la differenza. Faccio un esempio: il Cagliari dello scudetto 1969-70 fu molto attento in retroguardia e in avanti ebbe uno come Gigi Riva che fece 21 gol”.  

Differenze e analogie fra i 4 scudetti del Napoli…

“C’è una sorta di dicotomia ‘individualità-collettivo’ che spiega le due coppie di scudetti. Quelli dei tempi di Maradona sono stati conquistati prima grazie al genio di Diego e poi anche in virtù di un’organizzazione societaria, che si avvaleva di mr Bianchi, mr Bigon e del direttore Moggi. Mr Conte e mr Spalletti, invece, pur avendo talvolta divergenze di opinioni rispetto alla dirigenza del club, hanno fondato i rispettivi trionfi sulla forza del gruppo schierato in campo”.    

Quale dei 4 scudetti è stato il più inaspettato e quale quello più sudato?

“Di quello vinto dal Napoli di mister Bigon, che ho contribuito a raccontare per la RAI, ho un ricordo molto forte, perché è stato indimenticabile, sudato e inaspettato. In quel periodo, il Milan, lanciatissimo verso l’accoppiata scudetto-Coppa Campioni, sembrava irraggiungibile. E invece alla penultima di campionato successe di tutto: rossoneri sconfitti sul campo della Fatal Verona, Napoli vittorioso a Bologna e sorpasso a una giornata dal termine, poi confermato nell’ultimo turno di campionato”. 

A quali traguardi può ambire realisticamente il Napoli, ipotizzando che sulla panchina resti Antonio Conte per i prossimi 3 anni?

“L’esempio è il PSG. Senza uno stadio europeo, degno di questo nome, non si va lontano. Se, invece, ce l’hai, la squadra nel corso degli anni può crescere tanto, al punto da riuscire anche a vincere una Champions. Tra l’altro, con tutto il merchandising che ruota intorno, uno stadio ben strutturato porta anche le società a non dipendere eccessivamente dalle entrate dei diritti tv e, in questo modo, i club diventano maggiormente autonomi dal punto di vista economico”.

Club e bilanci. Nel calcio italiano di Serie A, chi non ha i conti in ordine sembra avere gli stessi diritti di chi li tiene in maniera perfetta. Non è che, attraverso la materializzazione di un trend del genere, si sacrifica l’etica sportiva in favore dello “show business”, con buona pace degli operatori che puntualmente danno “a Cesare quello che è di Cesare”?

“Sono totalmente d’accordo sul principio formulato nella domanda. Purtroppo, in Italia, in tanti campionati le classifiche di fine anno le scrivono i tribunali fallimentari. Per evitare questo caos di fine stagione, il controllo andrebbe operato sui bilanci preventivi a inizio annata agonistica, attraverso verifiche istituzionali sulle varie scadenze fiscali di ciascun club. E a quel punto non bisognerebbe avere pietà, mettendo fuori chi non rispetta gli impegni presi. E in tale contesto, io suggerirei alle istituzioni di fare attenzione alle fidejussioni false: un segmento, quest’ultimo, su cui i vertici del calcio farebbero bene a riflettere”.

A chi giova…e a cosa nuoce un calendario che, in media, porta ciascun giocatore di un cosiddetto Top Club di Serie A a disputare dalle 50 alle 60 partite nell’arco di una stagione?

“Giova ai procuratori, che possono riempire le Rose delle squadre con calciatori che non sempre meritano determinate platee; giova ai telespettatori, che, al netto delle gare della Nazionale, vengono serviti senza sosta da partite di campionato e coppe da agosto a maggio. Non giova alla salute degli atleti e nemmeno alla regolarità dei campionati; punto, quest’ultimo, rispetto al quale ritengo che era migliore il calcio del secolo scorso, quando si giocava tutti allo stesso orario”.

Calcio e tecnologia: dalla “goal line” del 2012 alle body-cam arbitrali del 2025, passando per il VAR del 2017 e il fuorigioco semiautomatico del 2022. In un’Italia in cui imperversano campanili, polemiche, dietrologie e deleteri complottismi, quanto ritiene utile l’uso della “macchina” nelle competizioni di foot ball?

“È fondamentale. Non dobbiamo dimenticare che il Mondo si è evoluto e la tecnologia resta un valore aggiunto. Le polemiche ci saranno sempre, ma la ‘macchina’ ha dimostrato anche nel calcio di essere un passo avanti rispetto all’occhio dell’uomo”.

“Giochismo” e “risultatismo”: le ritiene due definizioni calzanti o esagerate per inquadrare il calcio attuale?

“Secondi me, il risultato deve essere il frutto della qualità, dello spettacolo”.

Cosa, secondo Lei, va mantenuto e cosa va cambiato nel racconto sportivo di oggi?

“Devono essere eliminati l’eccesso di enfasi, i superlativi assoluti e i termini in inglese. ‘All in the box’ non si può sentire”.

Cosa pensa l’ex inviato RAI ai Mondiali “Germania 2006”, Fabrizio Failla, quando, di tanto in tanto, ripensa agli ultimi 20 anni della nostra Nazionale?

“Spentesi le luci dopo la trionfante notte di Berlino del 9 luglio 2006, si è avviata una lenta ma progressiva disgregazione di valori. Quell’anno, al tradizionale ritiro premondiale presso il centro tecnico federale di Coverciano, il gruppo azzurro era veramente tale, perché la convocazione del commissario tecnico Marcello Lippi era considerata da ciascun giocatore come una tappa di arrivo, mentre oggi, per alcuni, la chiamata a Coverciano da parte del CT di turno rappresenta una spiacevole consegna. E questo, purtroppo, è lo specchio dei tempi che viviamo”.

Concludiamo l’intervista con il gioco del “Se fosse…”, basato su 3 domande. La prima: se Fabrizio Failla fosse un uomo di vertice nella “piramide dirigenziale” del calcio italiano, quali obiettivi si porrebbe nel breve e medio termine?

“Un solo, primario, obiettivo: costruire una classe dirigente. Secondo me, parte tutto da lì”.

Se, invece, fosse il super commissario tecnico scelto per mettere in campo la nazionale italiana più forte di tutti i tempi, quale “XI” schiererebbe e con quale sistema di gioco, pur nella “liquidità” degli schemi del foot ball?

“Opterei per un ‘albero di Natale’ 1-4-3-2-1. In porta, Zoff. Difensori, da destra a sinistra, Gentile, Collovati, Scirea e Facchetti. In mediana, Bagni, Oriali e Bernardini. In attacco, Antognoni e Roberto Baggio dietro l’unica punta, Gigi Riva”.

E se, invece, fosse chiamato a guidare il “Resto del Mondo” all time?

“Metterei in campo un sistema 1-3-4-2-1. In porta, Gordon Banks. Difesa a tre, con Leo Junior, Daniel Passarella e Andy Brehme. Centrocampo a 4 con Osvaldo Ardiles, Paulo Roberto Falcao, Gunter Netzer e Roberto Carlos. In attacco, Johan Cruijff e Diego Maradona dietro il centravanti George Best”.
Luigi Gallucci  

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