Analisi 3° scudetto-Napoli: la parola ai campioni azzurri

Tonezza del Cimone: da sinistra, Alessandro Renica e Raffaele Di Fusco, campioni in Italia e in Europa nel Napoli dell’epopea maradoniana (Foto: Luigi Gallucci)

REPORT SPORTFLASH24 /

-Tonezza del Cimone, provincia di Vicenza, 990 metri sul livello del mare, appena 600 abitanti e un immenso paesaggio caratterizzato dal verde dei prati e della selva in lontananza, luogo perfetto per praticare calcio, tennis, basket, trekking, mountain bike, tiro con l’arco e, d’inverno, snowboard.  E’ qui che il 27 giugno, tra l’hotel Bucaneve e il vicino complesso sportivo polifunzionale, incontriamo due grandissimi esperti di “pallone” che hanno indossato la maglia del Napoli: l’ex libero Alessandro Renica e l’ex portiere Raffaele Di Fusco, campioni in Italia (scudetti 1987 e 1990 e coppa nazionale 1987) e in Europa (coppa Uefa 1989), saliti fin quassù in qualità di istruttori Uefa del campus estivo 2023 per aspiranti calciatori curato dallo staff “Top Eleven Soccer – Roberto Senin” in collaborazione con “Umbro Italia”.

tonezza alpe cimbra

Tonezza, il luogo adatto per godersi lo sport e la natura

Lontano dallo stress dei centri urbani italici, la cosiddetta “Porta dell’Alpe Cimbra” si rivela non solo il luogo adatto per adolescenti che vogliono assimilare dagli ex campioni consigli utili nell’arco di un percorso di formazione sul campo, ma anche il posto ideale per poter analizzare a mente fredda sia l’attuale momento del Napoli Campione d’Italia sia la dimensione storicamente anomala nella quale da ormai troppi anni si ritrova il nostro calcio in chiave Coppa del Mondo Fifa.

Alessandro Renica

Alessandro Renica, in versione “istruttore calcistico-opinionista dal campo”, risponde alle nostre domande (Foto: Luigi Gallucci)

INTERVISTA AD ALESSANDRO RENICA

-Egregio Alessandro, quali gli elementi cardine che, secondo lei, hanno determinato gli eclatanti risultati dell’ultima stagione azzurra?

“Il gioco, innanzitutto. Non era prevedibile. Tanti schemi diversi e un sistema camaleontico (pur partendo da un 4-3-3 di base, ndr). Se l’avversario portava il Napoli nella sua metà campo, prima o poi veniva bucato. Se, invece, provava a pressare alto, si aprivano per i partenopei spazi notevoli in contropiede, soprattutto con Osimhen e Lozano. Azzurri bravissimi a imparare con mr Spalletti, nell’arco degli ultimi 2 anni, incroci di posizioni tra esterni e mezze ali con cui trovavano spesso la giocata giusta per indirizzare  e/o risolvere le partite.  Un altro fattore determinante è stata la grande capacità di Luciano nel preparare bene i match, nell’utilizzare al meglio il turnover tra i giocatori e nel leggere le situazioni di gioco a gara in corso. E, collegato a tale concetto, c’è anche un quarto aspetto che ha fatto la differenza: la completezza della rosa. Simeone, Raspadori, Elmas e Olivera, pur non essendo ‘titolarissimi’, in molte partite si sono rivelati preziosissimi con le loro giocate e i loro gol. Con Osimhen in campo, la squadra è stata devastante, ma va ricordato che, senza di lui, con Cholito, Jack ed Elmas il livello restava comunque molto alto”.

Che differenza c’è tra… vincere un determinato trofeo a Napoli e alzare quella stessa coppa in un’altra piazza calcistica?

“A Napoli veniamo ricordati per l’eternità. I nostri nomi, legati a ciò che abbiamo fatto a livello sportivo, passano di padre in figlio, di generazione  in generazione. E, tra 20-30 anni, di tutto questo se ne accorgeranno anche i neo campioni d’Italia, così com’è accaduto a noi che abbiamo giocato con Diego. E poi c’è anche un altro fattore. Questo trionfo ha fatto accorrere tantissimi turisti da tutto il mondo. Milioni di appassionati di pallone hanno avuto il piacere di venire a emozionarsi a Napoli, vivendo i momenti magici e indimenticabili in un’Italia in cui quasi non ci si emoziona più per il calcio…e non solo”.      

Lei ha accennato ai fasti dell’Era Maradona. Quali sono state le cose più importanti che le ha trasmesso Diego in 5 anni calcisticamente straordinari?

“Al di là di quello che faceva in campo e che era sotto gli occhi di tutti, aveva un’umiltà, una semplicità e una disponibilità… su TUTTO. Un livello umano eccezionale, che non ho percepito in nessun altro campione con cui ho giocato”.

Insomma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, si ribadisce un concetto: Pibe de Oro fuoriclasse al quadrato, dentro e fuori dal campo. A questo punto, facendo riferimento a quel periodo…e anche a quello attuale, potrebbe provare a spiegarci come si gestisce in un arco di tempo lungo, qual è quello di un campionato, la pressione di una piazza come Napoli, così entusiasmante ma talvolta quasi soffocante? 

“Noi avevamo un mister molto razionale. Ottavio Bianchi non perdeva mai la calma. Davanti a tutti era il classico pompiere. E Spalletti quest’anno ha fatto la stessa cosa, a differenza dello scorso campionato, durante il quale ha commesso anche lui qualche errore, facendosi espellere durante una partita. Pensi, prima che terminasse l’anno 2022, abbiamo chiesto al grande Luis Vinicio come ‘vedeva’ in questa stagione il Napoli. E a quel punto uno come lui, che ha ottant’anni di calcio vissuti da varie angolazioni (giocatore, allenatore e osservatore), già prima di Natale ci ha risposto che stavolta si poteva iniziare a festeggiare… Del resto, in campo, tra agosto e novembre, si è vista una squadra che, in termini di gioco, le ammazzava tutte, sia in campionato che in Champions, competizione, quest’ultima, in cui resta il rammarico che si sarebbe potuto andare ben oltre il pur storico piazzamento dei quarti di finale…”.

A proposito, il 4 maggio De Laurentiis al “Maradona”, subito dopo la conquista dello scudetto, parlando ai tifosi accorsi allo stadio per seguire insieme a lui la partita Udinese-Napoli attraverso i maxischermi, ha detto che adesso vuole vincere la Champions League. Cosa pensa di queste esternazioni?

“Secondo me è stata una battuta scaramantica. Poiché gli è andata bene, quando un anno fa solo lui aveva parlato di puntare a vincere lo scudetto, anche stavolta l’ha buttata lì…”. 

In ogni caso, battute a parte, secondo lei lo scudetto e i Quarti di Champions rappresentano, per il Napoli di De Laurentiis, il vertice di una parabola o un punto intermedio per un’ulteriore crescita ?

“Pur augurandomi vivamente di sbagliare valutazione, penso che nella prossima stagione (2023-24, ndr) sarà tutto molto complicato. Innanzitutto, bisogna vedere chi resta e chi va via. In difesa, Kim ha fatto un campionato stellare,  mentre sulla parte destra della difesa qualche problemino bisogna provare a risolverlo, perché, quando dal fronte offensivo si abbassa Politano, si è più protetti rispetto a quando retrocede Lozano.  E poi c’è il tema Osimhen, oggetto di tentazioni con molti zeri da parte di noti top club europei… E, dunque, in una situazione di questo genere una funzione determinante potrebbe avercela il settore scouting nella persona di Micheli. Individuare giocatori giovani in grado di poter essere subito valorizzati non è un compito semplice, però è cruciale per quella che è la strategia del Napoli di De Laurentiis”.   

Mr Rudi Garcia, il sostituto in panchina di Luciano Spalletti, sembra avere energia ed esperienza sufficienti per non deludere una piazza calcistica che è tra le più appassionate e complicate d’Europa. Qual è il suo punto di vista?

“Garcia è un buon profilo e ha fatto bene anche a Roma, che a livello di passione calcistica dei tifosi, è molto simile alla piazza di Napoli. L’unico svantaggio è che nella scorsa stagione ha allenato in Arabia Saudita, quindi non si è occupato di Serie A come attività primaria. In ogni caso, poiché in questi ultimi 2 anni la squadra con mr Spalletti ha raggiunto un livello estremamente competitivo, lui secondo me non deve modificarla, ma gestirla. L’importante è che le faccia mantenere l’equilibrio nelle due fasi: possesso e non possesso palla”.

Renica sul campus estivo Top Eleven Soccer-Umbro Italia 2023: “Quest’anno, qui a Tonezza, abbiamo fatto un gruppone con ragazzi che vanno dai 10 ai 17 anni. Ci sono esercizi differenziati in base all’età, ma poi in partita mescoliamo un po’ tutti, perché anche per i più piccoli è un motivo di grande crescita il fatto di confrontarsi con quelli più bravi e anche più adulti. Naturalmente, non si deve esagerare nei contrasti di gioco, ma su questo aspetto ci siamo noi che controlliamo tutto, affinché questi giovani vivano un’esperienza caratterizzata esclusivamente dal divertimento e dalla formazione”.

Ultima domanda: la Nazionale. Per la nostra generazione, vissuta a pane e… Zoff, Baresi, “Paolorossi” tutto attaccato, Vialli, Baggio, Maldini, Totti, Buffon, Cannavaro e Del Piero, il record storico negativo riguardante le due mancate partecipazioni ai Mondiali di Russia 2018 e Qatar 2022 è un’amarissima presa d’atto di un declassamento senza precedenti del calcio italiano. Come si esce da questa situazione?

“Secondo me non è difficile uscirne. Al momento, però, c’è un problema di base. Ai nostri giovani non viene dato né il tempo di crescere, né di sbagliare, né il tempo di essere aspettati. E, poiché di giovani interessanti ne abbiamo, beh questi devono giocare le partite importanti. Non può essere che non giochino una Champions. Se son bravi, devono andare in campo. E invece mi sembra che ci sia un andazzo in conseguenza del quale uno straniero sembra che sia sempre più bravo di uno dei nostri; ma non è così. Quindi, per prima cosa bisogna dare loro fiducia, farli giocare partite importanti …e aspettarli, non bruciarli subito. Tra l’altro, storicamente ricordo che anche i trequartisti più talentuosi della nostra epoca facevano fatica a giocare. Basti ricordare, a tal proposito, Gianfranco Zola e, talvolta, anche Roberto Baggio. Ed è assurdo tutto ciò, perché proprio questi sono i giocatori che ti fanno vincere i grandi tornei. Se poi, dalle nostre parti, li boicottiamo, perché c’è un ambiente un po’ particolare, beh allora su questo secondo me c’è da riflettere. Prima di concludere, però, voglio fare anche una puntualizzazione sugli allenatori. In tale contesto, non condivido per niente i discorsi in base ai quali i tecnici stranieri sono più capaci dei nostri. Non è così, perché i nostri allenatori sono all’avanguardia. E quest’anno lo hanno dimostrato, portando le loro squadre a giocare 2 finali Uefa su 3 (Simone Inzaghi in Champions con l’Inter e Vincenzo Italiano in Uefa Conference League con la Fiorentina, ndr). A tutto ciò si aggiunga che, tra le 8 formazioni presenti ai Quarti di Champions, ben 4 erano allenate da italiani: Ancelotti (Real Madrid), Spalletti (Napoli), Pioli (Milan) e, appunto, Inzaghi (Inter)”.  

Raffaele Di Fusco, allenatore dei portieri al campus Top Eleven Soccer 2023, risponde alle nostre domande (Foto: Luigi Gallucci)

INTERVISTA A RAFFAELE DI FUSCO

-Egregio Raffaele, quali gli elementi cardine che, secondo lei, hanno determinato gli eclatanti risultati dell’ultima stagione azzurra?

“Innanzitutto va detto che Spalletti ha creato un gruppo eccezionale, nel quale sul terreno di gioco tutti si sono messi a disposizione di tutti. Un altro grande merito, secondo me, va ai preparatori atletici. E’ stata una stagione anomala, perché praticamente si sono giocati due campionati in uno. E, mentre le altre squadre in alcune fasi cruciali hanno avuto problemi, il Napoli volava via spedito. Solo nel finale, quando ormai aveva accumulato un grandissimo vantaggio di punti, si è potuto permettere il lusso di rallentare un po’, ma ormai i giochi erano fatti”.

Passiamo agli aspetti psicologici. Un gruppo nel quale nessun componente aveva mai vinto un campionato di Serie A è riuscito a raggiungere un traguardo rispetto quale, probabilmente, all’inizio della stagione ci credevano davvero in pochi. Com’è potuto accadere ciò, data la grande pressione esistente nei confronti della squadra partenopea sia in città, a livello di tifoseria e Media, sia al di fuori di essa, soprattutto dal punto di vista social-mediatico?

“Mr Spalletti ha avuto la grande capacità di mettere tutti nelle migliori condizioni psicologiche, tecnico-tattiche e agonistiche. E, anche se veniva da importanti esperienze calcistiche, gestire la pressione non era per nulla facile. Lui, però, è riuscito a creare un gruppo granitico e ha isolato i giocatori da tutte le situazioni esterne. Un aspetto che ha aiutato, in tutto questo, è stato anche il porre a luglio 2022, come obiettivo principale, la riduzione sia del monte ingaggi sia dell’età media. Stabiliti questi parametri, poi Spalletti e il direttore sportivo Cristiano Giuntoli hanno fatto un autentico capolavoro, ciascuno per la propria parte. Ed è così che è venuto fuori lo scudetto”. 

Il Tricolore e i Quarti di Champions rappresentano, per il Napoli di De Laurentiis, il vertice di una parabola o un punto intermedio per un’ulteriore crescita ?

“Nello scorso campionato, la squadra si è presa tantissime soddisfazioni perché, al fianco di alcuni giocatori a mio avviso particolarmente determinanti, quali Osimhen, Kvaratskhelia, Lobotka, Di Lorenzo e Kim, c’è stato un collettivo davvero all’altezza del compito. A questo punto, il fatto di continuare a salire di livello dipenderà molto dalla capacità della società di fornire a mister Garcia tanta qualità in rosa. E, ricollegandomi al discorso sulla pressione esterna alla squadra, penso che il nuovo allenatore del Napoli prossimamente ne avvertirà tanta, anche perché nelle scorse settimane il presidente ha alzato la cosiddetta asticella, parlando del fatto che vuole puntare a vincere la Champions”.

Quale lezione, secondo lei, ha potuto trarre il sistema calcio italiano da questa vittoria del Napoli?

“Il trionfo del Napoli non può che fare scuola… non soltanto in relazione al sistema calcio italiano, ma anche nel contesto internazionale. Quella degli azzurri non è stata solo una vittoria sul campo, ma anche a livello di organizzazione e amministrazione societaria. Il Napoli ha dimostrato che ancora oggi si può vincere e convincere senza indebitarsi. Tra l’altro, nel calcio si sa bene che il fatto di spendere centinaia di milioni di euro per allestire squadre zeppe di giocatori affermati non porta in automatico ad alzare trofei”.  

Di Fusco camp

Di Fusco, mentre dà istruzioni al Campus Top Eleven Soccer 2023, tiene a evidenziare che “il ruolo delle scuole calcio deve essere ESCLUSIVAMENTE quello di EDUCARE i ragazzi ai SANI VALORI DELLO SPORT, fornendo loro adeguati input per maturare prima come adolescenti e poi come calciatori”. Un messaggio, quello dell’ex portiere del Napoli, che punta a bacchettare coloro che in tante Football Academy, anziché svolgere “il ruolo di educatori” a cui sono chiamati, si atteggiano ad allenatori; funzione, quest’ultima, che, “fino a quando hanno a che fare con ragazzi delle squadre al di sotto del livello Primavera, non gli compete assolutamente”. (Foto: Luigi Gallucci)

Restiamo nel sistema calcio italiano. Azzurri fuori dalle fasi finali dei Mondiali per due edizioni consecutive, Russia 2018 e Qatar 2022. In pratica, uno smacco senza precedenti per una Nazionale che, va ricordato, vanta ben 4 titoli in Coppa del Mondo. Come si può uscire, secondo lei, da questa imbarazzante situazione che durerà, come minimo, fino al 2026?

“Innanzitutto, bisognerebbe obbligare le società professionistiche a potenziare le proprie strutture in funzione di una maggiore cura dei settori giovanili. Inoltre, finché i ragazzi che giocano a calcio non raggiungono la maggiore età, nelle nostre squadre dovrebbe esserci una percentuale massima del 20-30% di stranieri, altrimenti gli italiani non cresceranno mai. Ed ancora, bisognerebbe obbligare le società professionistiche italiane (dalla Serie C-Lega Pro fino alla Serie A) a schierare in campo almeno 5 italiani su 11, in modo tale da comporre delle rose che comprendano più calciatori italiani. Per arrivare a tali standard, però, bisogna partire dalla base, perché sul territorio italiano nel corso degli anni si sono persi molti vivai calcistici. E oggi siamo arrivati al punto che i settori giovanili delle società professionistiche hanno il 70% di ragazzi stranieri, mentre secondo me dovrebbe essere il contrario, se davvero vogliamo riportare in alto il calcio italiano”.

Ultima domanda: amarcord epopea Maradona. Quali sono state le cose più importanti che le ha trasmesso Diego in 5 anni calcisticamente straordinari?

“Su Diego mi preme evidenziare due cose. Sul perché lui sia da considerare un ‘genio’ del calcio e gli altri semplicemente dei ‘grandissimi giocatori’, il motivo è il seguente. Nelle situazioni di gioco, mentre i vari Cruijff, Pelé, Messi hanno mostrato, tanto per dare un parametro, 50 numeri col pallone, Diego è stato letteralmente infinito, imprevedibile nell’ampiezza del repertorio. Ogni volta s’inventava una giocata diversa. Ecco perché era quasi immarcabile. E poi va anche detto che non ha mai reagito contro l’avversario di turno per le botte che, comunque, subiva in ogni partita.
Poi c’è il Diego persona. Maradona ci ha insegnato che il vero leader è colui che si mette sempre a disposizione di tutti…e prima che lo facciano gli altri. E in ogni situazione lui ha anteposto sempre l’interesse del gruppo alle ambizioni personali. Ci ha fatto da scudo su tutto, anche quando magari non doveva. E, grazie a queste sue qualità interiori, quel gruppo è diventato granitico”.

a cura di Luigi Gallucci

 

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